Per scaricare brani musicali da Spotify e ascoltarli offline, è possibile seguire alcuni passaggi specifici, direttamente supportati dall’applicazione. Il download della musica da Spotify è permesso soltanto agli utenti che hanno attivato un abbonamento Premium. Questo profilo, infatti, offre la possibilità di scaricare album, playlist e podcast per l’ascolto offline. La versione gratuita di Spotify consente di scaricare solo podcast e non permette il download delle canzoni.
Scaricare musica da Spotify con gli strumenti ufficiali
Il vantaggio di poter scaricare offline i brani preferiti da Spotify è che tutti i contenuti saranno sempre ascoltabili, anche in assenza della connessione Internet. Almeno fintanto che si manterrà attivo il piano Spotify Premium. L’applicazione consente di scaricare musica su un massimo di 5 dispositivi diversi, con un limite di 10.000 brani per device.
Su smartphone (Android e iOS) oppure su computer Windows e macOS, è sufficiente avviare l’app Spotify, selezionare un album o una playlist quindi toccare l’icona della freccia rivolta verso il basso per avviare il download. In ogni caso, non è possibile scaricare MP3 da Spotify: il network utilizza il formato OGG, proteggendo però i dati con la tecnologia DRM.
Per scaricare brani singoli, è necessario dapprima creare una playlist quindi comporla con la musica che si vuole avere a disposizione anche in modalità offline. Una volta creata la playlist, si può scaricarla in locale nella sua interezza.
Dopo aver prelevato i brani di proprio interesse, si può attivare la modalità offline nelle impostazioni dell’app, così da ascoltare la musica senza connessione a Internet.
È in ogni caso richiesto un collegamento a Spotify almeno una volta ogni 30 giorni per mantenere i download. Inoltre, è essenziale assicurarsi di avere spazio a sufficienza nel dispositivo in uso in modo da poter gestire senza problemi i file scaricati.
I file scaricati in locale sono protetti da DRM
Spotify utilizza il sistema di protezione dei contenuti digitali (DRM, Digital Rights Management) Widevine di Google per impedire l’utilizzo non autorizzato della musica. Nello specifico, la versione Web di Spotify impiega la variante Widevine L3: corrisponde al livello di sicurezza più basso offerto da Google.
Widevine L3 è implementato interamente via software, senza l’ausilio di hardware dedicato come il Trusted Execution Environment (TEE). Storicamente, Widevine L3 (almeno dal 2019 quando il ricercatore David Buchanan annunciò di aver violato il meccanismo di protezione…) si è rivelato più vulnerabile rispetto ai L1 e L2, che sono più robusti in quanto combinano protezioni software e hardware.
TEE è una tecnologia di sicurezza che crea un ambiente isolato all’interno di un dispositivo per eseguire in modo sicuro operazioni critiche, come la gestione delle chiavi di cifratura e altre operazioni sensibili.
Per utilizzare il DRM Widevine L3 con la versione Web di Spotify, è sufficiente che il browser in uso lo supporti. Nel caso di Google, basta digitare chrome://components
nella barra degli indirizzi per accorgersi (è sufficiente una semplice ricerca…) di come Widevine sia costantemente aggiornato. In questa pagina potete trovare un esempio di contenuto protetto con Widevine.
Tecnologie DRM: sempre aggiornate per contrastare la pirateria digitale
Dicevamo che l’implementazione di Widevine nel browser, così come in Spotify, è costantemente aggiornata. Questo perché i ricercatori, dal 2019 in avanti, hanno a più riprese messo a punto sistemi per eludere le tecnologie DRM.
Google ha così ripetutamente applicato aggiornamenti significativi sul suo sistema Widevine, rendendo più difficile l’estrazione delle chiavi. I vari aggiornamenti hanno migliorato la protezione contro tecniche di reverse engineering e bypass. Nel caso di Widevine L3, è vero che la tecnologia è interamente sviluppata lato software, senza l’uso di ambienti di esecuzione sicuri (TEE). Ma se da un lato questo aspetto la rende più vulnerabile, allo stesso tempo la configura come una soluzione più facile da aggiornare e proteggere.
Inoltre, con l’aumento della consapevolezza riguardo alla pirateria digitale e alle violazioni del copyright, si sono registrate azioni legali più aggressive contro gli strumenti e le tecniche di estrazione delle chiavi.
Le critiche piovute sulle tecnologie DRM
Le soluzioni DRM sono costantemente oggetto di critiche per diverse ragioni, che riguardano sia i consumatori che i creatori di contenuti.
Una delle lamentele più diffuse è che i contenuti protetti da DRM possono essere legati a piattaforme o dispositivi specifici. Se il supporto per una certa tecnologia DRM fosse ritirato, i consumatori potrebbero non essere più in grado di accedere ai loro contenuti. Questo può creare problemi di compatibilità e portare all’obsolescenza dei contenuti acquistati. Buchanan, ad esempio, ha recentemente spiegato di essere riuscito a portare la tecnologia Widevine su Asahi Linux, progetto che porta il kernel Linux sui nuovi Mac basati su Apple Silicon (SoC di derivazione ARM), senza violare il sistema DRM. Diversamente non sarebbe stato possibile usare, su Asahi Linux, servizi come Spotify e Netflix, tra gli altri.
Le tecnologie DRM, inoltre, spesso richiedono che i dispositivi o i software comunichino con server remoti per verificare le licenze, il che può sollevare preoccupazioni sul piano della privacy.
Gli stessi produttori di software e hardware alternativi potrebbero essere esclusi dal mercato perché non in grado di implementare o utilizzare una tecnologia DRM specifica.
Ancora oggi è quindi aperto un acceso dibattito sull’opportunità di promuovere o meno l’uso delle tecnologie DRM, mettendo sul tavolo aspetti come i diritti e le libertà dei consumatori, gli ostacoli all’innovazione e alla concorrenza nonché temi quali compatibilità, sicurezza e privacy.
In ogni caso, le piattaforme devono assicurare ai detentori dei diritti sulle opere intellettuali l’utilizzo attivo di una soluzione efficace per bloccare copie non autorizzate e utilizzi impropri dei contenuti.
Come fanno a scaricare MP3 da Spotify le applicazioni di terze parti
Abbiamo detto che la maggiore complessità nell’estrazione delle chiavi DRM è dovuta a un insieme di aggiornamenti di sicurezza promossi da Google, all’evoluzione delle tecniche a contrasto dei meccanismi di bypassing della protezione, oltre che a una maggiore vigilanza legale.
Chi sostiene di scaricare MP3 da Spotify sta quindi bluffando? In realtà no, perché l’approccio seguito sembra essere radicalmente diverso.
Alcune applicazioni intercettano il flusso audio in uscita durante la riproduzione, quindi lo registrano in locale sotto forma di file temporaneo, per poi convertirlo ad esempio nel formato MP3 o salvarlo in OGG in versione DRM-free. Questo approccio è spesso utilizzato lato server in modo da non esporre nulla all’utente e, soprattutto, per evitare problemi con gli aggiornamenti DRM.
Rispetto alle soluzioni di ripping audio tradizionali, le applicazioni non avviano una riproduzione in tempo reale ma accedono direttamente ai dati audio disponibili, accelerando notevolmente il processo di conversione in formato MP3.
Gli aspetti legali
È importante notare che l’intercettazione e la registrazione di flussi audio da servizi come Spotify, violano i termini di servizio della piattaforma. Questi escludono espressamente le eventuali attività volte all’elusione di qualsiasi tecnologia utilizzata sulla piattaforma, oltre che la copia non autorizzata dei contenuti, le attività di reverse engineering e molto altro ancora.
La legge antipirateria approvata a marzo 2023, inoltre, inasprisce le pene sia per chi diffonde contenuti protetti dalla normativa sul copyright senza averne titolo, sia per coloro che ne fruiscono senza autorizzazione. Chi utilizza chiavi di decodifica a scopo personale o, sprovvisto di qualsivoglia autorizzazione, si avvantaggia dei contenuti protetti dal diritto d’autore, può incorrere in una sanzione amministrativa fino a 5.000 euro.
Dal canto suo, Spotify ha ripetutamente avvertito gli utenti che utilizzano app non ufficiali o modificate, minacciando la sospensione o la chiusura degli account. Questo indica che l’azienda sta monitorando attivamente l’uso delle sue piattaforme e potrebbe intraprendere azioni contro gli utenti che violano ripetutamente i suoi termini di servizio. L’iniezione di codice nelle librerie e negli altri componenti software della piattaforma di streaming audio, come fanno alcuni progetti su GitHub, non è ammessa.
Infine, le aziende che gestiscono servizi di streaming come Spotify, le case discografiche e le associazioni di categoria, possono comunque intraprendere azioni legali contro piattaforme che facilitano il download illegale della musica rimuovendo la protezione DRM.