Utilizziamo il termine pixel quasi ogni giorno, soprattutto quando si parla della risoluzione supportata da uno schermo o di quella di un’immagine. In questo articolo vediamo da dove nasce il termine pixel e per che cosa si utilizza nella computer grafica.
Con “pixel” si può tuttavia fare riferimento a un elemento, utilizzato sul Web o nel corpo dei messaggi di posta elettronica, con finalità di statistica e raccolta di informazioni sul comportamento degli utenti: ne parliamo più avanti.
Pixel, infine, è una nota linea di smartphone Google basati sul sistema operativo Android.
Cos’è il pixel nella computer grafica
.Il pixel (picture element), spesso abbreviato con la sigla px, è l’unità minima convenzionale della superficie di un’immagine digitale. I vari pixel che compongono un’immagine vengono allineati per formare una griglia rettangolare: la loro dimensione e densità è variabile ma l’accostamento dei pixel offre la percezione di un’immagine unica.
Il primo a usare il termine pixel fu Frederic C. Billingsley del Jet Propulsion Laboratory NASA nel 1965: lo usò per descrivere gli elementi delle immagini provenienti dalle sonde spaziali. Prima ancora, però, il brevetto registrato nel 1888 dall’inventore Paul Nipkow ospita un esplicito riferimento a Bildpunkt, l’equivalente tedesco di pixel. Nipkow è infatti considerato uno dei padri della televisione.
Il termine pixel è sensibile al contesto: si possono avere pixel su un dispositivo per la visualizzazione delle immagini, pixel trasportati da segnali o rappresentati da valori digitali, pixel in una fotocamera digitale (elementi fotosensori; lo spieghiamo nell’articolo sui Megapixel e su cosa sono in ambito fotografico) e pixel stampati: in quest’ultimo caso si parla di dots e di dpi (dots per inch). Ne parliamo nell’articolo su come stampare foto e della differenza con i ppi (pixel per inch, vedere più avanti).
In informatica un’immagine composta da pixel è nota come immagine bitmap o raster. L’immagine composita nella sua interezza si ottiene dall’accostamento di tanti pixel con colore o tonalità differenti.
Un’immagine Full HD 1080p è composta da 1920 x 1080 pixel rispettivamente in orizzontale e in verticale per un totale di 2.073.600 pixel. Uno schermo a ultra alta definizione (8K 4320p) ha una risoluzione pari a 7680 x 4320 pixel (circa 33,2 milioni di pixel).
Ciascun pixel deve essere gestito singolarmente dal pannello del display con una frequenza di aggiornamento (refresh) adeguata cosicché le immagini siano sempre visibili nella loro interezza e senza sfarfallii.
Per formare un pixel si usano alcuni sub-pixel, ciascuno di essi chiamato a rappresentare un colore specifico. I sub-pixel possono essere disposti con uno schema (forma) differente in modo da ridurre al minimo lo spazio tra un elemento e l’altro massimizzando allo stesso tempo la definizione dell’immagine.
La disposizione dei sub-pixel è importante: vi ricordate dell’effetto sgradevole ottenuto sui bordi delle finestre di Windows con i primi monitor QD-OLED?
Il numero minimo di sub-pixel per gli schermi a colori è 3 in modo da gestire correttamente lo schema RGB (rosso, verde, blu). I tre emettitori di luce corrispondenti ai vari sub-pixel offrono la percezione che a essere illuminato sia il singolo pixel a causa della loro vicinanza.
Esistono però diverse varianti che utilizzano un numero maggiore di sub-pixel aggiungendo un secondo verde o il giallo per massimizzare la fedeltà cromatica.
Una tecnica che fa ampiamente uso dei sub-pixel per migliorare la leggibilità dei testi sullo schermo evitando il tipico effetto di “scalettamento” conosciuto come aliasing è Microsoft ClearType.
La “miscela” dei colori assunti dai sub-pixel permette di ottenere una sovrapposizione che porta alla generazione del colore finale assunto dal singolo pixel.
Il numero di colori distinti che possono essere rappresentati da un pixel dipende dal numero di bit per pixel (bpp). Un’immagine RGB a 8 bit per pixel offre 256 valori possibili per ciascun canale (28): poiché i canali sono tre (rosso, verde, blu), le possibili combinazioni sono 2563 ovvero si possono gestire fino a 16.777.216 colori.
Il numero di bit che contraddistingue ciascun pannello dei display esprime la profondità di colore: gli 8 bit e quindi i 16,7 milioni di colori esprimibili sono garantiti dai pannelli più tradizionali.
Salendo a 10 bit o addirittura a 12 bit aumenta la profondità di colore perché i pixel che compongono il display possono rappresentare una gamma cromatica più ampia e quindi un ventaglio ancora più esteso di possibili sfumature.
Nei pannelli a 10 bit ogni canale può gestire 210 = 1024 valori e ciascun pixel 10243 ovvero 1,07 miliardi di colori (HDR10).
Nei pannelli a 12 bit ogni canale può gestire 212 = 4096 valori e ciascun pixel 40963 ovvero 68,7 miliardi di colori (Dolby Vision).
In un altro articolo ci siamo soffermati su quanti colori può vedere l’occhio umano.
Secondo vari studi, infatti, l’occhio umano sarebbe in grado di riconoscere fino a 10 milioni di colori. Che senso ha, quindi, adottare tecnologie come HDR10 e Dolby Vision con pannelli a 10 e 12 bit se, sulla carta, i 16,7 milioni di colori dei pannelli a 8 bit potrebbero risultare sufficienti?
Semplificando molto, possiamo dire che la gestione in bit dei colori non corrisponde a una gamma cromatica che rispecchia la reale percezione dell’occhio umano.
Parte delle sfumature che possono essere rese con un pannello a 8 bit non è percepibile dall’occhio umano che ad esempio risulta molto più sensibile nel cogliere le sfumature dei verdi piuttosto che dei blu. Inoltre, una rappresentazione 2D della gamma colore rappresentabile dallo schermo non è sufficiente: è necessario prendere in considerazione anche luminosità e intervallo dinamico.
L’altro aspetto fondamentale è quello relativo alla densità di pixel: esso influisce direttamente sulla qualità e nitidezza delle immagini.
Un iPhone 14 Pro ha una densità pari a 460 ppi, un Samsung Galaxy S22 425 ppi, un TV Samsung 4K QN700B da 55 pollici 161 ppi, un Samsung 8K QN900B da 65 pollici 136 ppi: la scelta del valore più adatto in termini di densità di pixel è infatti funzione anche della distanza dalla quale si osserva lo schermo.
Nel caso del display di uno smartphone, di un tablet o addirittura di un visore per la realtà virtuale o aumentata il valore di ppi deve essere necessariamente elevato. A basse risoluzioni e a breve distanza, infatti, ci si può accorgere degli spazi vuoti presenti tra i pixel con l’immagine che risulta poco nitida e sgranata.
Per un monitor da PC e per un televisore si può ovviamente scendere a qualche compromesso.
in un altro articolo abbiamo visto cosa sono i ppi e perché sono così importanti.
Pixel come leva per le statistiche e l’email marketing
Il termine pixel viene utilizzato anche da amministratori di siti Web ed esperti di marketing online per riferirsi a quella tecnologia che consente di raccogliere dati sul comportamento degli utenti.
Si chiama così perché nel sorgente di una pagina Web o nel corpo di un’email formattata in HTML si aggiunge il riferimento a un’immagine di dimensioni pari a 1x1px (un pixel, appunto), di solito in formato PNG o GIF trasparente.
Questo tipo di pixel appare lato client come una normale immagine, impercettibile all’utente; in realtà non appena il browser la carica viene effettuata una richiesta a un server remoto che può leggere dati come i seguenti:
- Indirizzo IP pubblico del client
- Stringa user agent
- Query string inserita nell’URL con il quale il pixel remoto viene richiamato
Uno dei pixel più famosi in assoluto è il pixel di Meta (precedentemente noto come Facebook Pixel): aiuta professionisti e aziende a capire quali azioni eseguono gli utenti misurando l’efficacia delle inserzioni effettuate sul social network.
In questo modo è possibile monitorare da vicino le interazioni degli utenti con il sito Web dell’azienda dopo che è stato fatto clic su un annuncio pubblicato su Facebook.
Un pixel sviluppato da altre aziende diverse da Meta o sviluppato in proprio può essere utilizzato anche per verificare l’efficacia delle campagne email e controllare, ad esempio, se i messaggi di posta elettronica vengano aperti (e quando) da ciascun destinatario.
Il pixel può essere considerato quindi come un’implementazione più moderna della tradizionale conferma di lettura.
Di solito le webmail più utilizzate, almeno nella loro configurazione predefinita, caricano automaticamente i pixel presenti nel corpo dell’email mentre i client di posta elettronica tendono a tutelare la privacy degli utenti bloccando per default le immagini remote, pixel compresi.
Una semplice implementazione di un pixel di monitoraggio realizzata in PHP può essere utilizzata su un proprio server per capire quando un’email venisse aperta.