Il provvedimento del Garante della Privacy del 2 Febbraio 2006 secondo cui il datore di lavoro non può monitorare la navigazione del dipendente su Internet va approfondito e valutato. Apparentemente si pone in controtendenza con quanto stabilito precedentemente dalla Magistratura e dallo stesso Garante con riguardo alla posta elettronica, che a volte contiene cose ancora più personali di quanto non possa contenere la cache di navigazione sul web, e per la quale si è stabilito il diritto del datore di lavoro di accedere alla mailbox del dipendente.
Secondo il Garante, infatti, la mailbox aziendale è e rimane uno strumento dell’azienda, come tutti gli altri messi a disposizione del dipendente, per cui può contenere anche comunicazioni dirette alla stessa azienda, mentre se il lavoratore la usa per scopi personali lo deve fare intanto in via “minimale” e comunque lo fa a suo rischio e pericolo, accettando il
fatto che altri la possano leggere.
Nel caso, invece, della navigazione Internet il Garante sembra avere stabilito l’esatto contrario, in realtà probabilmente si tratta di un intervento che come spesso accade in questi casi è volto a trovare il giusto punto di compromesso tra la libertà del lavoratore e l’esigenza del datore di lavoro di controllare che le mansioni vengano svolte e che gli strumenti dell’azienda non siano utilizzati per scopi non solo estranei all’esercizio dell’impresa ma a volte addirittura illegittimi (si pensi al caso di frequentazione di siti o newsgroup pedopornografici).
Per il garante la navigazione è diversa dalla mailbox
Il provvedimento del Garante della Privacy del 2 Febbraio 2006 secondo cui il datore di lavoro non può monitorare la navigazione del dipendente su Internet va approfondito e valutato.