A differenza dell’occhio umano, una fotocamera non può regolare le ombre e le luci nella stessa scena. In una scena ad alto contrasto, le ombre tendono a far perdere i dettagli nelle parti più buie dell’immagine mentre le luci sovraespongono le aree luminose facendo “annegare” le informazioni della foto in aree completamente bianche.
Il fotografo più abile sa come gestire gli scatti più difficili agendo direttamente al momento dell’acquisizione dell’immagine o in post-produzione. Spesso si può risolvere, ad esempio, aumentando l’esposizione perché l’immagine sia più luminosa (nel caso di scene buie) oppure, ove necessario, renderla viceversa meno luminosa.
Le foto HDR (High Dynamic Range) vengono realizzate utilizzando una particolare tecnica che permette di unire le informazioni sull’immagine provenienti da una serie di scatti eseguiti l’uno dopo l’altro utilizzando differenti esposizioni.
L’esposizione in fotografia è la quantità totale di luce catturata dal sensore (si misura in EV).
Parlando di HDR i fotografi professionisti hanno spesso storto il naso. Se utilizzata in modo errato la tecnica HDR può portare a ottenere un’immagine che sembra eccessivamente elaborata e che in molti casi porta a una sorta di “effetto cartoon” grottesco, assolutamente fastidioso e irreale. Le immagini possono apparire false, sovrasaturate.
Se utilizzato correttamente, tuttavia, HDR è uno strumento eccellente che aiuta a far emergere tutti i dettagli in una scena ad alto contrasto.
In questo nostro articolo non ci rivolgiamo ovviamente a chi fa un utilizzo professionale delle fotocamere ma a coloro che desiderano saperne di più sul funzionamento e sui concetti alla base di HDR.
Cosa sono le foto HDR
Tutti gli smartphone supportano ormai l’utilizzo della modalità HDR che può essere mantenuta disattivata, abilitata oppure attivata in automatico sulla base di un’analisi della scena da acquisire (in questo caso si parla spesso di HDRA).
L’utente “normale” che utilizza il suo smartphone per scattare una foto all’alba, al tramonto o in condizioni di illuminazione complesse, non ottiene un risultato soddisfacente senza abilitare HDR.
Senza ricorrere HDR è cioè molto probabile che i dettagli nelle aree più scure e quelli nelle zone più luminose vadano irrimediabilmente perduti.
Già sensore di un apparecchio fotografico professionale (figuriamoci quello di uno smartphone che è estremamente compatto e ha un’ottica limitata…; ne parliamo nell’articolo sul mito dei Megapixel) ha dei limiti: esso può gestire una gamma dinamica fissa.
Con tale espressione ci si riferisce alla differenza tra il minimo e il massimo valore di luminosità che un sensore riesce a rilevare.
Quando la resa delle porzioni più illuminate della scena e di quelle più buie presenta dei problemi, con tanti dettagli che spariscono, è molto probabile che la differenza tra i valori minimo e massimo sia troppo grande.
Attivando HDR lo smartphone generalmente effettua 3 scatti in rapida successione quindi unisce le informazioni provenienti dalle foto acquisite con livelli di esposizione differenti. Il numero degli scatti può di solito essere personalizzato nel caso delle fotocamere digitali e dei dispositivi più avanzati (auto bracketing dell’esposizione) ma non usando uno smartphone.
Partendo da un minimo di 3 scatti in sequenza con il primo viene di solito acquisita la scena utilizzando un’esposizione media, con il secondo si modifica l’esposizione per le alte luci, con il terzo si registrano i dettagli in ombra.
Per 3 scatti di solito si usano i valori EV 0, +3 e -3; con 7 immagini si usano -3, -2, -1, 0, +1, +2, +3.
Oltre alle elaborazioni HDR “in-camera” (l’attivazione di HDR avviene tramite il software del telefono o della fotocamera) programmi evoluti come Photomatix consentono di combinare i dati provenienti da più scatti diversi e importare automaticamente le immagini da Lightroom.
Quando usare HDR. Cos’è l’istogramma in fotografia
Abbiamo visto in breve cos’è HDR. La risposta alla domanda “quando usare HDR?” dovrebbe a questo punto essere evidente.
Ricorrere a HDR ha senso quando ad esempio ci si trovasse dinanzi a un paesaggio con un cielo molto luminoso e i dettagli sul suolo che tendono a scomparire.
Scene all’alba e al tramonto (le cosiddette golden hours), scatti notturni e immagini di ambienti al chiuso sono molto insidiosi: con HDR si può riuscire a tenere sotto controllo le alte luci conservando i dettagli in ombra.
In una giornata di sole con cielo sereno, la luce è diretta e talvolta accecante. Proietta ombre nere profonde mentre gli oggetti in pieno sole risultano molto luminosi. Questa scena ad alto contrasto ha ovviamente un’ampia gamma dinamica.
Il cielo nuvoloso, di contro, agisce come un gigantesco softbox (i diffusori che si usano negli studi fotografici per illuminare correttamente la scena) diffondendo la luce solare: in questo modo il contrasto tra ombre e luci si riduce.
In modalità HDR lo smartphone impiega qualche millisecondo in più per scattare la foto: la tecnica non dovrebbe essere quindi mai utilizzata per fotografare soggetti in rapido movimento o quando non si riuscisse a tenere fermo il telefono. Inutile dire, infatti, che i risultati migliori si ottengono usando un treppiedi.
Le fotocamere reflex, software come Photoshop e Lightroom ma anche alcune app più evolute per i dispositivi mobili che integrano funzionalità di fotocamera permettono di accedere all’istogramma di ciascuna foto.
L’istogramma in fotografia restituisce preziose informazioni sulla gamma dinamica di ciascuna foto.
La parte orizzontale dell’istogramma può essere pensata come la gamma dinamica quindi i livelli di luminosità che la fotocamera può gestire. Se il grafico è palesemente schiacciato verso sinistra o verso destra significa che, rispettivamente, si stanno perdendo dettagli importanti in ombra o, viceversa, nelle zone più luminose.
Nel caso di una buona foto, l’istogramma è interamente contenuto all’interno del grafico, senza “debordare” né verso destra né verso sinistra. Inoltre, l’andamento dell’istogramma dovrebbe tenzialmente risultare “frastagliato” (non necessariamente con un andamento che mostra una prevalenza al centro).
L’abilità del fotografo sta comunque anche nella corretta interpretazione dell’istogramma: è palese che per certe foto, ad esempio quelle notturne o quelle raffiguranti paesaggi innevati o nella nebbia il grafico risulta correttamente spostato verso sinistra o verso destra (ma l’istogramma non tocca i bordi sinistro e destro).
Qual è la gamma dinamica dell’occhio umano
Quando si mette a confronto la gamma dinamica di qualsiasi fotocamera con quella dell’occhio umano si può dire che quest’ultimo ha una gamma dinamica molto ampia.
La gamma dinamica viene comunemente misurata in f-stop, valore espresso come potenza di 2: una gamma dinamica di 14 f-stop significa che il contrasto è pari a 214 = 16384:1.
I valori 16384 e 1 rappresentano il numero massimo e minimo di fotoni che possono essere raccolti dai pixel.
Si dice che i nostri occhi abbiano una gamma dinamica che supera i 24 f-stop. Il valore è stato calcolato prendendo in considerazione molteplici situazioni in cui la pupilla dell’occhio si chiude e si apre per rispondere alle diverse luminosità dell’ambiente. Il dato relativo all’occhio umano non può essere direttamente paragonato con quello di una fotocamera.
Supponendo che l’apertura della pupilla resti invariata (“gamma dinamica istantanea”), si può stimare che l’occhio umano ha da 10 a 14 f-stop di gamma dinamica andando a superare ampiamente le fotocamere digitali a basso costo e ponendosi in linea con le reflex e le mirrorless.
La gamma dinamica 10-14 f-stop è inoltre applicabile solo in condizioni di luce diurna: se ci si trovasse in una situazione di scarsa illuminazione, i nostri occhi possono ovviamente contare su una gamma dinamica più ampia rispetto a quella di una fotocamera.
L’occhio umano tende inoltre ad amplificare le ombre e a comprimere le zone più brillanti con una risposta che presenta un andamento curvo e non lineare come avviene invece nel caso di un sensore fotografico.