Gli hard disk sono stati, per decenni, le unità di memorizzazione più utilizzate su PC. Da tempo, però, gli SSD sono diventati un’ottima alternativa in molteplici campi applicativi.
Ma quali sono differenze, vantaggi e svantaggi nell’utilizzo di hard disk (HD) e SSD? Quando è opportuno ricorrere a un hard disk tradizionale o a un SSD?
HD SSD: caratteristiche, differenze e vantaggi dell’una e dell’altra soluzione
Gli hard disk (HD), sono supporti di tipo magnetico composti da più piatti in rapida rotazione. Per ciascun disco, due testine (una per lato) “volano” sulla superficie dei piatti (alla distanza di pochi nanometri) leggendo o scrivendo i dati. Le testine devono spostarsi sull’esatta area contenente i dati da leggere oppure in corrispondenza della zona ove debbono essere scritte le informazioni.
Il tempo di accesso è fortemente influenzato dai limiti derivanti dall’utilizzo di componenti meccanici ed è quantificabile all’incirca in 10 ms.
Quando le informazioni da leggere sono pressoché contigue i tempi di accesso degli hard disk tradizionali sono all'”altezza della situazione” ma se i dati sono sparsi in aree fisicamente distanti l’una dall’altra e, soprattutto, distribuiti in molti piccoli frammenti, possono verificarsi ritardi significativi nella lettura e nella scrittura delle informazioni.
È meglio quindi optare per un hard disk o un SSD (solid state drive)?
Diciamo subito che rispetto agli hard disk le unità a stato solido (SSD) evidenziano un tempo di accesso ai dati è praticamente nullo (quantificabile in 0,1 ms o meno).
È errato chiamare queste unità “dischi a stato solido” o “dischi SSD” perché negli SSD non vi sono parti in movimento e la memorizzazione delle informazioni avviene in forma elettronica, modificando per effetto tunnel lo stato delle celle.
Gli SSD usano infatti chip di memoria flash mentre gli hard disk utilizzano dischi magnetici.
Adoperando un SSD l’accesso al dato è sostanzialmente immediato e, di conseguenza, quest’ultimo viene posto sul bus altrettanto istantaneamente contribuendo all’ottenimento di velocità di lettura e scrittura assolutamente irraggiungibili con gli hard disk tradizionali.
Come funziona un SSD
Nella scelta di un hard disk o SSD va considerato che questi ultimi usano memorie flash non volatili mettendo quindi al bando qualunque componente meccanico.
I chip di memoria di tipo NAND su cui si basano gli SSD sono composti da celle. Ciascuna di esse include un transistor simile ai MOSFET, dotato di due gate invece di uno solo. Uno di tali gate viene utilizzato per conservare il valore della cella ed è conosciuto come “gate flottante”.
Le memorie utilizzate negli SSD sono classificate sulla base del numero di bit che possono essere conservati: >SLC (single level cell, un bit); MLC (multi-level cell, due bit); TLC (triple-level cell, tre bit); QLC (quad-level cell, quattro bit).
Ogni cella può quindi tenere traccia di due, quattro, otto o addirittura sedici possibili valori (21, 22, 23 o 24) esprimibili con diversi livelli di tensione.
Tali valori di tensione possono essere approssimati: nelle memorie SLC, ad esempio, il valore 0 si esprime ponendo la tensione nella “finestra” compresa tra 0 e 5 V; il valore 1 è rappresentato con un livello di tensione compreso tra 6 e 11 V.
Nelle memorie TLC, ad esempio, le “finestre” per le tensioni sono notevolmente più ridotte perché i valori da gestire sono di più (otto). Per non parlare delle più recenti unità SSD QLC in cui i valori da memorizzare diventano sedici.
Con il trascorrere del tempo, specie nel caso delle unità SSD TLC e QLC, potrebbe non essere semplice recuperare o scrivere con accuratezza i valori corretti agendo sulle tensioni.
Uno studio condotto tempo fa da Google e da un gruppo di universitari (SSD più affidabili, le conclusioni di uno studio durato 6 anni) ha dimostrato che più che il numero delle scritture – nel caso dei moderni SSD – il nemico più temibile per la corretta conservazione dei dati e, quindi, per la loro integrità è il tempo.
Durante i test le più costose unità SSD SLC non si sono rivelate più affidabili dei modelli basati su memorie MLC ed oggi è possibile dire lo stesso degli SSD TLC migliori.
Le unità QLC sono ancora acerbe e la durabilità è l’aspetto più critico (sebbene siano molto meno costose grazie alla maggiore densità e ai processi costruttivi più economici): anch’esso però sarà certamente migliorato negli anni a venire.
Meccanismi di correzione dell’errore (ECC) gestiti dal controller dell’unità SSD aiutano comunque a lenire i problemi in fase di lettura e scrittura. Le celle di memoria che evidenziano un comportamento anomalo possono essere marcate come inaffidabili: per questo motivo, gli SSD integrano abilità di over provisioning e quindi hanno, in realtà, capacità superiori rispetto a quelle dichiarate dal produttore.
HD e SSD: il tema dell’affidabilità
Quando si parla di differenze tra hard disk e SSD è meglio essere cauti. Come un abito non va bene per tutte le stagioni, gli SSD non solo “la” soluzione valida per tutti i campi applicativi.
È infatti bene tenere presente che le unità SSD non dovrebbero essere considerate come una soluzione affidabile per la memorizzazione a lungo termine dei dati. Per questa esigenza ci sono gli hard disk tradizionali, meglio se utilizzati in configurazione RAID (vedere Evitare perdite di dati: come configurare RAID e Costruire un server NAS professionale).
Se è vero, infatti, che gli SSD evidenziano problemi con una frequenza ampiamente inferiore rispetto agli hard disk allorquando si presenta un malfunzionamento, questo può portare – con maggiore probabilità – a perdite di dati (vedere anche La durata degli SSD è un parametro di cui preoccuparsi? e Temperature elevate danneggiano gli SSD? Data retention).
Le celle di memoria di un SSD sono raggruppate in “righe” (rows) dette words, a loro volta raccolte nelle cosiddette pagine (pages).
La pagina rappresenta il quantitativo minimo di informazioni che può essere letta o scritta sull’SSD in un determinato istante.
Le pagine hanno una dimensione di 4 o 8 KB e sono raccolte in blocchi tipicamente costituiti da 256 pagine, per un totale di 2 MB. Infine, i blocchi sono generalmente raggruppati in 1.024 unità dette planes, con diversi planes per singolo chip di memoria.
Quando il contenuto di una pagina cambia, esso viene copiato all’interno di un’altra pagina all’interno del medesimo blocco. La pagina precedentemente usata viene quindi marcata per la “cancellazione”. Per come funzionano le memoria NAND, i valori di una pagina non possono essere modificati una volta scritti.
I cicli di utilizzo e cancellazione dei dati sono chiamati Program/Erase (sigla P/E). A causa della “vita” limitata dei transistor, ogni volta che il loro contenuto viene cancellato la durata stimata di un SSD viene di solito espressa nel numero di cicli P/E sostenibili.
Nel caso in cui il controller dell’SSD rilevasse scarse condizioni di salute per una specifica cella, l’intera pagina che la contiene verrebbe marcata come inaffidabile e resa inutilizzabile.
Il funzionamento dei controller usati nei moderni SSD è di solito una black box perché il loro comportamento varia da produttore a produttore. Un buon controller, però, contribuisce al raggiungimento di ottime performance in fase di lettura/scrittura, offre una migliore protezione contro gli errori ed in caso di improvvisa mancanza di alimentazione.
Nei moderni SSD è costantemente attivo un garbage collector che (di solito quando l’unità è temporaneamente inutilizzata) si occupa di spostare le pagine all’interno di blocchi validi, attivando la cancellazione delle pagine non più in uso.
Il comando TRIM, inviato dal sistema operativo all’unità SSD, permette di marcare come cancellabili quelle pagine che non contengono più dati di utilità per l’utente a livello di file system e che quindi possono essere rimosse. TRIM è una funzionalità accessoria che integra il garbage collector ed è ad essa complementare.
Dimensioni e memorie 3D NAND
Le dimensioni dei transistor utilizzati nei chip di memoria NAND hanno un impatto diretto sulla vita delle celle.
Via a via che i transistor si riducono di dimensioni, più essi sono suscettibili al passaggio della corrente. Un transistor realizzato ricorrendo ad un processo litografico a 40 nm ha ovviamente una vita maggiore rispetto ad uno creato con un processo produttivo a 15 nm.
Il vantaggio di creare chip di memoria di dimensioni più contenute risiede essenzialmente nella possibilità di avere maggiori capacità di memorizzazione nello stesso spazio.
L’utilizzo della tecnologia 3D NAND ha permesso di compiere un ulteriore passo in avanti in termini di densità di memoria: questi chip si sviluppano infatti in senso verticale “impilando” decine di livelli di transistor uno sopra l’altro.
Per riferirsi all’utilizzo di chip 3D NAND, Samsung utilizza ad esempio il termine V-NAND (vedere questi prodotti).
HD vs SSD: vantaggi e svantaggi
I vantaggi derivanti dall’uso di un SSD rispetto ad un hard disk tradizionale sono molti.
Oltre al tempo d’accesso praticamente azzerato rispetto agli hard disk, gli SSD sono caratterizzati da tempi di latenza in lettura del tutto irrilevanti: negli hard disk, infatti, il contenuto di un settore dev’essere letto completamente prima di poterlo inviare sul bus.
Con gli SSD, poi, le informazioni possono essere lette in parallelo, in un determinato istante, da più aree dell’unità. Il limite di banda dell’interfaccia SATA III (6 Gbps teorici) può quindi essere raggiunto e superato con gli SSD mentre nel caso degli hard disk magnetomeccanici anche l’unità più veloce non riesce neppure ad avvicinarsi a tale asticella.
Proprio per questo motivo, nel caso degli SSD, si è reso necessario l’utilizzo di interfacce alternative al SATA III che permettessero di superare il limite di banda di 6 Gbps: si pensi alle unità SSD PCIe NVMe che possono essere adoperate con le schede madri compatibili (ne parliamo più avanti).
L’uso degli SSD porta con sé vantaggi in termini di risparmio energetico: se il controller sovrintende in maniera ottimale il funzionamento dell’unità, l’SSD può essere posto in uno stato “dormiente” allorquando inutilizzato. In questo modo i consumi possono ridursi a 50 mW o anche meno.
Durante l’impiego (lettura/scrittura), i consumi non superano mai i 3-4 W mentre nel caso degli hard disk si arriva fino a 10 W.
Da non sottovalutare un aspetto non meno importante in molteplici contesti: gli SSD non fanno rumore non avendo alcuna parte in movimento.
D’altra parte gli SSD costano molto di più rispetto agli HD: in proporzione i primi costano 7-8 volte di più rispetto ai secondi. Il costo a gigabyte per gli hard disk è compreso tra 0,024 e 0,05 euro a gigabyte mentre nel caso degli SSD si va da un minimo di 0,175 euro a un massimo di 0,388 euro a gigabyte.
Per memorizzare grandi quantitativi di dati gli hard disk restano la soluzione migliore: ecco perché una buona idea è installare sistema operativo e applicazioni su un SSD e conservare i dati su un capiente disco fisso di tipo tradizionale.
Interfacce usate dagli SSD
L’interfaccia usata per la connessione dell’unità SSD determina la velocità massima a cui possono essere trasferiti i dati.
L’interfaccia SATA fino a poco tempo fa era quella più popolare ma sono oggi disponibili alternative decisamente più performanti.
Il limite di 550-600 MB/s dell’interfaccia SATA III è stato frantumato con l’introduzione delle unità SSD PCIe (PCI Express). Esse usano un’interfaccia che è comune a quella nota da tempo ed usata per il collegamento di schede video e di altre componenti hardware (i.e. schede WiFi).
L’interfaccia PCIe 2.0 consente di raggiungere una velocità massima di trasferimento dati pari a 500 MB/s; PCIe 3.0 permette di arrivare ad una velocità reale di 984 MB/s.
Utilizzando slot PCIe 3.0 x4, x8 e x16 (multipli di 2) si possono moltiplicare le velocità raggiungibili: nel caso di PCIe 3.0 x4, ad esempio, si può arrivare a ben 4 GB/s circa.
Va detto che il limite diventa a questo punto il controller dell’unità SSD che ad oggi può non garantire il trasferimento dati alla velocità permessa dall’interfaccia.
I nuovi SSD PCIe supportano anche il protoccolo NVMe (Non-Volatile Memory express), capace di ottimizzare l’accesso agli SSD connessi utilizzando il bus PCIe.
Rispetto ad AHCI, che nasce per l’interfaccia SATA, NVMe è stato pensato per le unità SSD ed in particolare per i device di storage basati su memorie NAND.
Grazie ad un collegamento diretto con il processore attraverso il bus PCIe, il protocollo NVMe aiuta a ridurre drasticamente le latenze riducendo la dimensione dei comandi ed il numero di istruzioni richieste per completare un’operazione di trasferimento dati I/O. Inoltre, NVMe gestisce in maniera nettamente migliore le code di lavoro permettendo lo smaltimento di 65.536 code di comandi da 65.536 comandi ciascuna (AHCI permette la gestione di una coda da 32 comandi).
Tale aspetto è particolarmente importante proprio perché gli SSD, diversamente dagli hard disk, possono effettuare una lettura delle informazioni in parallelo.
NVMe consente poi di ridurre le latenze ottimizzando ulteriormente i trasferimenti random 4K e di conseguenza la gestione di file di ridotte dimensioni.
Nell’articolo Costi e velocità di SSD e hard disk a confronto abbiamo paragonato le prestazioni ottenibili con i migliori hard disk e le migliori unità SSD.
Hard disk e SSD, differenze nel fattore di forma
In forza delle differenti tecnologie usate negli SSD, le unità vengono commercializzate con il supporto di diverse interfacce e vari fattori di forma.
La tendenza è quella di abbandonare i fattori di forma da 3,5 e 2,5 pollici, retaggio degli hard disk tradizionali, per passare ad unità SSD che somigliano, ad una prima occhiata, a moduli RAM.
Gli SSD SATA rappresentano un po’ l’ultimo anello di collegamento con il passato, ovvero gli hard disk magnetomeccanici. Grazie alla maggiore densità delle memorie NAND, gli SSD SATA si propongono con un fattore di forma di 2,5 pollici ma sono ancora più sottili (7 mm).
Vengono comunque commercializzati anche con altri spessori: generalmente 9,5 mm e 5 mm (questi ultimi destinati primariamente all’installazione sui sistemi ultrabook).
Usando l’interfaccia SATA III, la velocità massima raggiungibile è di 6 Gbps (550 MB/s all’atto pratico). Questi SSD sono compatibili anche con la vecchia interfaccia SATA 2.0 ma in questo caso la velocità massima raggiungibile si riduce a 3 Gbps.
Sostituire un hard disk tradizionale con un SSD collegandolo ad una scheda madre che supporta solo SATA 2.0, però, è comunque un’operazione che darà i suoi frutti in termini velocistici e che permette di ridare vita ad una macchina che sta ormai sentendo il peso degli anni.
Accantonato il formato mSATA, il formato M.2 ha portato con sé una ventata di novità: sebbene sia utilizzabile anche con SATA III, viene ormai implementato in coppia con l’interfaccia PCIe (sia 2.0 che 3.0, presto anche 4.0: Le specifiche dell’interfaccia PCIe 4.0 in versione finale: prestazioni raddoppiate).
Per rilevare tutti i benefici in termini di velocità di trasferimento dati, è comunque bene usare un’interfaccia PCIe 3.0 x4. In questo caso le prestazioni salgono fino addirittura a 4 GB/s sebbene i controller non sia in grado di sfruttare tutte le potenzialità dell’interfaccia.
I modelli di SSD PCIe 3.0 di solito supportano il protocollo NVMe mentre le ormai vecchie versioni PCIe 2.0 usano AHCI sebbene, fortunatamente, siano interoperabili e compatibili fra loro.
La scheda dell’SSD M.2 può avere lunghezze differenti. Per scoprirlo basta esaminare le sigle numeriche che contraddistinguono le varie unità: 2230, 2242, 2260, 2280 e 2210 (la 2280 è tra le più comuni).
Le ultime due cifre indicano la lunghezza in millimetri della scheda (nel caso di 2210 è 110 mm, la versione più lunga).
Nell’articolo Come verificare se il PC è compatibile PCIe NVMe potete trovare tante informazioni in più sul tema.
Infine, U.2 è simile a un’interfaccia SATA Express ma utilizza un connettore differente. Inizialmente utilizzata in ambito server, U.2 ha cominciato a far mostra di sé sulle schede Skylake di tipo consumer.
Per adesso U.2 non è molto popolare perché servono cavi dotati di una speciale schermatura (più costosi). U.2 supporta comunque PCIe 3.0 x4 oltre al protocollo NVMe.
Può essere implementata anche nelle unità SSD da 2,5 pollici potendo così offrire una maggiore capienza rispetto ai prodotti M.2 pur mantenendo le stesse velocità di trasferimento dati.
Quando usare un SSD e quando un hard disk
Ove possibile, un’unità SSD dovrebbe essere sempre usata come unità principale, sulla quale installare il sistema operativo.
Se il sistema operativo fosse attualmente installato su un hard disk tradizionale, quindi, il consiglio è quello di spostarlo in un’unità SSD: si potrà godere così di prestazioni velocistiche senza pari, sia in fase di avvio che durante il normale lavoro:
– Spostare sistema operativo su SSD
– Spostare Windows 10 su SSD e clonare l’hard disk con Todo Backup
– Sostituire hard disk con SSD, come fare senza reinstallare tutto
– Come sostituire hard disk di un notebook con un SSD
– Installare un secondo hard disk: perché e come fare
Un capiente hard disk potrà essere usato invece come unità secondaria, per la memorizzazione dei dati.
I dati memorizzati sull’hard disk magnetomeccanico dovranno comunque essere oggetto di backup periodico, ad esempio su un server NAS collegato in rete locale (vedere questi articoli).
E se si volesse velocizzare un hard disk SATA tradizionale? Intel Optane
Intel e Micron hanno messo a punto una tecnologia chiamata 3D Xpoint che consente di velocizzare drasticamente le operazioni di lettura e scrittura dei dati con gli hard disk di tipo tradizionale.
I moduli Intel Optane Memory sono acceleratori che permettono di sveltire in modo significativo hard disk tradizionali e SSD SATA: nell’articolo Intel Optane Memory ovvero come accelerare le prestazioni del sistema abbiamo descritto nel dettaglio il loro funzionamento.
L’unica limitazione è che per utilizzare i moduli Intel Optane e velocizzare drasticamente le prestazioni del sistema senza acquistare nuovi SSD e beneficiando delle più ampie capacità di storage offerte dagli hard disk tradizionali, è necessario disporre di una scheda madre basata su chipset almeno della serie 200, di un processore Intel almeno di settima generazione, UEFI aggiornato e adoperare unità di memorizzazione (hard disk o SSD) con una tabella delle partizioni GPT.
Nonostante Intel e Micron abbiano recentemente posto una “data di scadenza” alla loro collaborazione (La tecnologia 3D Xpoint passerà nelle mani di Micron), la società di Santa Clara continuerà a presentare nuove soluzioni basate su 3D Xpoint.
Le potenzialità della tecnologia sono infatti notevoli e Intel ha cominciato a presentare dispositivi che combinano funzionalità di RAM e SSD: è il caso delle soluzioni Intel Optane DC Persistent Memory (Intel presenta memorie Optane DC utilizzabili sia come moduli RAM che come SSD.