Era il mese di Ottobre 2005 quando un gran numero di produttori di macchine fotografiche e videocamere digitali iniziarono a pubblicare dei bollettini informando gli utenti circa l’individuazione di un difetto comune a molti modelli di periferiche.
Tutti gli annunci avevano un filo conduttore: un problema collegato al funzionamento del sensore (CCD) che, in particolari condizioni di elevata temperatura od umidità, può danneggiarsi. Risultato? Il display della fotocamera può iniziare a visualizzare immagini distorte che presentano colori violacei o tendenti al verde. La problematica si presenta in genere sia nella modalità scatto che nelle foto catturate e salvate nella memoria digitale della fotocamera.
Gli annunci resi da Sony, Canon, Fujifilm e Konica Minolta furono presto seguiti da quelli pubblicati da Nikon, Ricoh ed Olympus. Il problema, sebbene ormai conosciuto, può presentarsi anche oggi su fotocamere e videocamere ormai datate, commercializzate fra il 2002 ed il 2004.
Emblematico il caso di una nostra fotocamera Canon Digital Ixus 500, acquistata nel 2004 e che soltanto nei giorni scorsi, a distanza di quattro anni, ha iniziato ad evidenziare colori falsi ed a produrre immagini distorte come quella che proponiamo di seguito.
Dopo aver individuato questo documento tra le FAQ (“domande frequenti”) per la fotocamera digitale oggetto d’interesse, abbiamo consegnato la Digital Ixus 500 al centro di assistenza ufficiale Canon che, nonostante il periodo delle festività natalizie, in meno di un mese ci ha restituito la macchina riparata senza addebitarci alcun costo. Il problema è stato riconosciuto, come indicato nel documento di Canon, un vizio congenito della fotocamera digitale ed il CCD è stato quindi sostituito senza la richiesta di alcun corrispettivo economico, sebbene il prodotto fosse da tempo ormai fuori garanzia.
Il sensore o CCD (charge coupled device) è il “cuore” della macchina fotografica digitale che, ovviamente, non possiede alcun rullino e che quindi, in sostituzione, utilizza un dispositivo sensibile alla luce in grado di “catturare” le immagini e rappresentarle in un formato che può essere conservato in una memoria elettronica. Il CCD è un circuito integrato formato da una griglia di elementi semiconduttori capaci di caricarsi in modo proporzionale all’intensità della radiazione elettromagnetica che li colpiscono. Da questo dispositivo dipende la sensibilità alla luce della fotocamera.
Il CCD “campiona” insomma la luce che attraversa l’obiettivo della macchina e la converte in segnali elettrici. In realtà, i deboli segnali in ingresso, molto deboli, debbono essere necessariamente amplificati per poi essere trasmessi ad un convertitore analogico-digitale ed elaborati quindi internamente per comporre l’immagine definitiva.
L’invenzione del CCD si fa risalire a George Smith e William Boyle che nel 1969. Ovviamente i primi sensori avevano una risoluzione molto bassa: si è dovuto attendere tempi recenti per poter impiegare CCD che potessero offrire una risoluzione tale da competere con la pellicola fotografica tradizionale.
Se la pellicola fotografica è ricoperta da un’emulsione fotosensibile di cristalli di argento che reagisce alla “quantità” di luce alla quale è esposta, il CCD di una fotocamera digitale è composto, come anticipato in precedenza, da una serie di piccoli elettrodi denominati “photosite” o “fotoelemento“. Un “photosite” viene utilizzato per un pixel che andrà a comporre l’immagine finale. Ovviamente, maggiore è il numero di “photosite” disponibili, maggiore sarà la risoluzione dell’immagine ottenibile.
Sebbene sia impossibile prevedere cosa può accadere in futuro, il problema presentatosi in alcuni modelli di fotocamere digitali prodotte tra il 2002 ed il 2004 sembra essere stato ormai definitivamente superato. Le motivazioni addotte a giustificazione della problematica relativa al malfunzionamento del CCD illustrato in precedenza sono, com’è facile accorgersi documentandosi in Rete, molteplici. Alcuni fanno riferimento al mancato utilizzo di più robusti, sebbene più costosi, package ceramici ed, in particolare, alla scarsa qualità della saldatura che avrebbe favorito la penetrazione dell’umidità all’interno del chip.
Altre motivazioni sono illustrate in questa pagina insieme con un elenco di modelli che, in talune circostanze, hanno presentato il problema.
Va rimarcato comunque l’impegno profuso dai vari produttori nel riparare, senza costi per il cliente, le macchine che evidenziano i sintomi descritti. Un esempio di indubbia serietà.