Tutti parlano da tempo della carenza di chip che ha messo in serie difficoltà i produttori di dispositivi elettronici. Per Intel e TSMC la situazione perdurerà almeno per tutto il 2022 (anche Lisa Su, CEO di AMD, ritiene che le criticità saranno superate nella seconda parte di quest’anno) ma d’altro canto Pat Gelsinger, CEO dell’azienda di Santa Clara, è convinto che quello che stiamo vivendo sarà un decennio d’oro per i semiconduttori.
Perché, semplicemente, non si riescono a produrre più chip da destinare all’industria dell’elettronica se la domanda del mercato è così elevata e neppure gli utenti finali riescono a trovare l’hardware che cercano? Perché non è così banale.
Da cosa nasce la carenza di chip
I fattori che hanno determinato la situazione in cui ci troviamo sono diversi: in primo luogo ci troviamo ancora in una situazione pandemica durante la quale la domanda di dispositivi per lavorare e comunicare da casa o comunque in luoghi diversi dall’abituale posto di lavoro è cresciuta a dismisura.
Si pensi al mercato più specifico delle webcam: dispositivi fino a inizio 2020 sostanzialmente ritenuti di scarso interesse sono diventati ricercatissimi e le scorte di magazzino si sono presto esaurite. Per non parlare del fatto che con la pandemia e la necessità di organizzare videoconferenze o parteciparvi in prima persona in tanti si sono accorti della mediocrità delle webcam dei PC paragonate con le fotocamere degli smartphone. Ma questo è un altro discorso.
Qualunque cosa abbia di elettronico abbia a che fare con le nostre vite ha visto crescere in maniera esponenziale la richiesta da parte degli utenti.
L’intera catena di distribuzione (supply chain) ha subìto pressioni talmente forti da non riuscire a sostenere la domanda: dalla logistica fino, a salire, all’attività degli ingegneri, dei ricercatori, dell’acquisto dei materiali grezzi.
Nell’articolo su come viene realizzato un processore abbiamo visto quali e quanti passaggi richieda la progettazione, lo sviluppo e la creazione di un processore, sia esso una CPU, una GPU, un SoC e così via.
Basti pensare che il processo che permette di trasformare il materiale grezzo (il silicio) in un processore funzionante richiede 3 mesi di tempo: è infatti complesso e molto costoso.
Potenziare uno stabilimento che realizza processori è qualcosa di estremamente difficoltoso e lo è ancora di più se si dovessero rispettare tempi molto più stretti rispetto al normale per cercare di soddisfare la domanda.
Sappiamo già che Intel, ad esempio, vuole cogliere la palla al balzo e avvantaggiarsi del quadro attuale, seppur con tempistiche che per forza di cose non possono essere brevi: Gelsinger ha confermato che la sua azienda sta lavorando sulla costruzione di uno stabilimento europeo per la produzione di chip e che Intel realizzerà prodotti per conto terzi non basati soltanto sulla piattaforma x86 ma anche su ARM e RISC-V. Un cambiamento epocale che trae origine dalla nuova strategia Intel Device Manufacturing 2.0 che segna l’ingresso dell’azienda nel mercato della produzione di semiconduttori su richiesta dei clienti. L’obiettivo, ovviamente, è (anche) svincolare sempre di più le realtà nordamericane ed europee dai player taiwanesi, sudcoreane e cinesi.
La costruzione di un nuovo stabilimento dedito alla produzione di chip richiede comunque tra 18 e 24 mesi anche se in alcuni tempistiche le tempistiche potrebbero dilatarsi.
Per dare un’idea della portata del problema della carenza di semiconduttori basti pensare che Canon ha recentemente iniziato a fornire cartucce prive del chip di controllo spiegando come aggirare la verifica da parte dell’hardware su alcuni modelli di stampanti.
A parte la pandemia, altri fattori che hanno contribuito alla carenza includono una siccità a Taiwan, la peggiore degli ultimi 50 anni, che ha costretto TSMC e altre aziende a lottare per ottenere quantità sufficienti di acqua, elemento essenziale nella produzione di chip.
Altri eventi hanno frenato la produzione come gli incendi in alcuni stabilimenti, le interruzioni di corrente e il blocco dei trasporti attraverso il canale di Suez.
La carenza di chip è dovuta alla compromissione della supply chain
Parlando di supply chain è interessante notare come il problema della carenza di chip abbia messo in luce diversi punti deboli e vari interessi da un punto di vista geopolitico.
Se si pensa a quanto successo a Huawei che è stata costretta a ripensare completamente il suo business e la sua strategia aziendale in forza dell’esclusione voluta dall’amministrazione Trump negli Stati Uniti in epoca pre-pandemica. Ricordiamo che a Huawei è stato espressamente vietato di fare affari con le aziende USA e quindi di usare hardware e software delle realtà d’Oltreoceano. Una decisione che ha portato Huawei a creare un suo ecosistema di prodotti e servizi.
Il problema è che se la catena si rompe in qualche punto, un’azienda che dipende largamente da fornitori stranieri può andare in crisi e ciò vale per qualunque realtà d’impresa indipendentemente dal Paese in cui quella società ha sede. D’altra parte propendere per un approccio che guarda al nazionalismo economico è sbagliato e anacronistico: siamo tutti parte di uno stesso pianeta e pensare di essere completamente indipendenti rispetto ad altri Paesi sarebbe follia.
L’industria tecnologica sta già facendo passi importanti per mitigare la carenza di chip: investire in infrastrutture di produzione di chip esistenti e nuove è un passo ovvio da fare e la maggior parte delle aziende si è mossa in tal senso.
Tanti fornitori in Estremo Oriente hanno accumulato scorte e limitato le loro esportazioni in risposta alla volatilità del mercato e alle pressioni politiche mentre gli sforzi per rendere gli Stati Uniti e l’Europa più autosufficienti nella produzione di elettronica sono ancora ben lontani dal produrre i primi frutti.
L’Unione Europea può e deve tornare protagonista ma il Chips Act potrà semmai portare a qualche risultato non prima di un decennio.
Migliorare i rendimenti ovvero il numero di chip che possono essere prodotti con successo da un wafer di silicio è un’altra area sulla quale i produttori di chip hanno investito molto. Questi passi in avanti portano a migliorie produttive nell’ordine di pochi punti percentuali e di certo non aiutano a raddoppiare o triplicare i chip prodotti per recuperare il ritardo accumulato.
I produttori di dispositivi stanno inoltre lavorando per costruire nuovi prodotti usando anche chip più vecchi. È però pur sempre una mossa disperata per attenuare l’impatto della carenza che non può essere una soluzione definitiva.
Ancora una volta il software viene in aiuto: gli ingegneri software stanno ottimizzando i modelli utilizzati fino ad oggi per fare in modo che anche i calcoli più pesanti possano essere gestiti ricorrendo a configurazioni hardware meno moderne.
L’immagine utilizzata per le miniature di questo articolo è stata realizzata da Laura Ockel (Unsplash).