Fino ad oggi, anche Italia, chi affittava case e appartamenti mediante il famoso servizio Airbnb o altre piattaforme similari generalmente non versava un centesimo in tasse al fisco nazionale. Strumenti come Airbnb che mettono in comunicazioni diretta i privati e permettono di stringere contratti senza l’opera di un agente immobiliare o di un qualunque altro soggetto “in carne ed ossa” sono diventati sempre più invisi agli albergatori e alle strutture ricettive di tipo convenzionale.
Chi è solito affittare su Airbnb, infatti, generalmente può praticare prezzi molto bassi e locare immobili che difficilmente si potrebbero trovare a quei prezzi usando i canali tradizionali. Il motivo Airbnb fino ad oggi non ha fatto rima con tasse, né in Italia né nella stragrande maggioranza dei Paesi.
Tasse e Airbnb: le novità per chi affitta casa
Ad oggi la pagina di Airbnb che fornisce risposte in materia di tasse è piuttosto asciutta (vedere queste pagine di supporto).
In Italia il fisco sta cercando in tutti i modi di mettere le mani sul giro di denaro che ha a che fare con gli affitti brevi gestiti attraverso siti come Airbnb.
Si calcola infatti che solo nel 2016 “i locatori” di Airbnb abbiano incassato circa 621 milioni di euro ma stime prudenziali fanno riferimento a un mercato che vale almeno da 1 a 3 miliardi di euro.
La domanda è con Airbnb le tasse vanno pagate?
La novità è recentissima (il provvedimento dell’Agenzia delle Entrate è stato redatto in data 12 luglio 2017) ma il fisco italiano ha deciso per un “giro di vite” su Airbnb e sulle piattaforme similari.
A partire dal 17 luglio 2017 coloro che affittano casa mediante Airbnb, Homeaway, Homeholidays, Booking, Tripadvisor e altri servizi simili devono versare almeno la cosiddetta cedolare secca del 21% sull’importo della locazione.
Va detto che la legge già prevedeva il versamento delle tasse per gli affitti su Airbnb da parte del locatore, anche per i contratti relativi a soggiorni di durata inferiore a 30 giorni. L’unica differenza, rispetto agli affitti a lungo termine, consisteva nella non obbligatorierà della registrazione del contratto.
Per gli affitti di durata inferiore ai 30 giorni, quindi, il contratto doveva esistere ma non si era tenuti a depositarlo presso l’Agenzia delle Entrate.
Chi affitta può decidere di versare la cosiddetta cedolare secca del 21% sul canone di locazione pattuito oppure operare in regime di IRPEF ordinario ovvero con una tassazione che, com’è noto, segue l’applicazione di importi progressivi calcolati sul reddito.
La differenza tra i due “regimi” è che nel primo caso il locatore sa subito quanto deve pagare in tasse per ciascuna locazione ma non può detrarre alcun costo sostenuto. Nel secondo caso (IRPEF ordinario), invece, l’aliquota può andare dal 23 al 43% ma le tasse da versare saranno calcolate in un secondo tempo, a posteriori, al momento della presentazione della dichiarazione dei redditi e con la possibilità di “scontare” le spese sostenute per l’attività di locazione.
La nuova formula impedisce l’evasione delle tasse su Airbnb e sui servizi similari
Il provvedimento emesso il 12 luglio 2017 dall’Agenzia delle Entrate è stato concepito proprio con il fine ultimo di “tagliare le gambe” a coloro che hanno l’abitudine di affittare su Airbnb senza pagare tasse.
Dal 17 luglio 2017, infatti, Airbnb e tutti gli altri soggetti che fungono da intermediari hanno l’obbligo di comunicare all’Agenzia delle Entrate, usando gli appositi strumenti telematici predisposti, il nome, cognome e codice fiscale del locatore, la durata del
contratto, l’importo del corrispettivo lordo e l’indirizzo dell’immobile. Per i contratti relativi al medesimo immobile e stipulati dal medesimo locatore, la comunicazione dei dati può essere effettuata anche in forma aggregata.
La comunicazione dei dati deve essere effettuata entro il 30 giugno dell’anno successivo a quello di conclusione del contratto.
Anche nel caso di società intermediarie che non hanno sede legale in Italia, l’Agenzia delle Entrate ha disposto che esse devono in ogni trattenere un importo pari al 21% (cedolare secca) sugli importi corrisposti dal locatario per l’affitto dell’immobile.
Airbnb e tutti i servizi che mettono in diretto contatto locatore e locatario devo quindi prelevare alla fonte le tasse. Nel caso in cui il locatore optasse per il regime IRPEF ordinario, la cedolare secca si intenderà riscossa dal fisco a titolo di acconto.
Si tratta di un cambiamento epocale che pone in capo a Airbnb e alle altre società che offrono il servizio di intermediazione immobiliare obblighi estremamente pressanti.
Il quadro sanzionatorio per i soggetti che non si adeguano alle nuove disposizioni non è ancora chiaro: aggiorneremo l’articolo a breve, quando la situazione diverrà più chiara.
Per il momento Airbnb non ha applicato alcuna trattenuta a fini fiscali sui contratti conclusi in Italia attraverso la sua piattaforma.
Per Matteo Stifanelli, Country manager di Airbnb Italia, siti come quello di cui è responsabile per il nostro mercato rappresenta una grande risorsa di crescita (lo dimostrano gli ultimi dati sul PIL tricolore).
“Vogliamo pagare le tasse e semplificare le operazioni al Fisco, ma non possiamo operare come sostituti d’imposta” ha dichiarato Stifanelli che continua in un’intervista all’AGI: “eravamo pronti a fare la nostra parte ma avevamo chiesto un confronto su modalità e tempistiche, e un modo per rispettare sia la normativa italiana che quella europea, ma tutto è ancora vago“.
Secondo Stifanelli, il provvedimento dell’Agenzia delle Entrate sarebbe contrario alla libertà di stabilimento che l’Europa garantisce alle piattaforme digitali. “La nuova imposta così come è stata pensata viola in diversi punti la normativa europea, soprattutto in termini di privacy e di territorialità“, sostiene ancora Stifanelli.