L’utilizzo della firma digitale in Italia è sempre più diffuso tra imprese, professionisti e privati.
Secondo i dati condivisi da AgID (Agenzia per l’Italia digitale) i dispositivi attivi utilizzati per apporre la firma digitale e i relativi certificati qualificati superano nel 2020 i 22 milioni sul territorio nazionale.
La firma digitale si conferma quindi al centro della trasformazione documentale perché consente di sottoscrivere qualunque documento, con validità legale ed efficacia probatoria, ovunque ci si trovi in formato digitale.
È sufficiente infatti utilizzare un dispositivo fisico (token USB o lettore di smart card abbinato a una CNS rispettivamente in formato SIM o del tipo “carta di credito”) oppure affidarsi alla firma digitale remota.
Quest’ultima permette di effettuare tutte le operazioni di firma usando un certificato di firma che si trova depositato su server sicuro insieme con una OTP (One Time Password) generata dall’app installata sul dispositivo mobile o da un token (con display o USB).
In questo modo la firma potrà essere applicata usando qualunque device, anche con un tablet o uno smartphone.
La CNS (Carta Nazionale dei Servizi) non è soltanto quella resa disponibile dalle Regioni e dalle Autorità sanitarie nel formato di tessera sanitaria (TS-CNS, Firma digitale gratis con CNS: è valida? Cosa cambia rispetto a quelle a pagamento). Anzi, mentre alcune Regioni non permettono ad oggi di inserire un certificato di firma nella TS-CNS, le CNS rilasciate dai prestatori di servizi fiduciari autorizzati da AgID contengono il certificato utile per l’apposizione della firma elettronica qualificata (FEQ) emesso previa puntuale verifica dell’identità del richiedente.
Sempre secondo i dati di AgID, l’80% delle firme digitali sarebbero oggi utilizzate in modalità remota. Inoltre il numero di firme digitali remote generate nel 2019 in Italia è cresciuto del 55% rispetto all’anno precedente, toccando quota 3,1 miliardi.
Si tratta di dati “pre-Coronavirus” che già di per sé sono notevoli e che non prendono in considerazione la fortissima accelerazione registrata a partire da marzo 2020.
Dai dati di IDC pubblicati in un report recentemente realizzato per Aruba Enterprise, si evince come i vantaggi della digitalizzazione dei processi documentali si possono riassumere in:
- una maggiore efficienza del business per il 58% degli intervistati
- una riduzione dei costi per il 44%
- una migliore collaborazione per il 35%
- oltre all’uso per l’adeguamento normativo per il 35%
un accesso rapido a informazioni e documenti per un altro 58%
Ma a chi serve davvero la firma digitale? Secondo l’Osservatorio di Aruba, considerando gli utenti che utilizzano il suo servizio di firma digitale, il 70% degli utilizzatori è rappresentato da liberi professionisti, un altro 20% da privati cittadini e per il 10% da aziende.
Qui un’interessante infografica riassuntiva sul tema della firma digitale.
Indipendentemente dal target dell’utenza, il servizio viene impiegato soprattutto per le comunicazioni con la Pubblica Amministrazione (28%), per la sottoscrizione di contratti (24%), per progetti e pratiche edilizie (21%), per procedure gestionali aziendali (19%), per procedure aziendali (19%) e, infine, per gestire le fatture elettroniche (10%).
Il “sistema Italia” sta quindi progressivamente scoprendo e sfruttando i reali vantaggi offerti dalla firma digitale, in grado di abilitare la vera trasformazione dei processi all’interno di uno scenario caratterizzato da rapporti cliente-azienda e cittadino-istituzioni sempre più digitalizzati e gestiti da remoto. Uno strumento che garantisce elevati livelli di sicurezza e capace di conferire autenticità, validità legale e integrità del documento sul quale viene apposta la firma certificando in maniera inoppugnabile anche l’identità del sottoscrittore.
Nell’articolo Differenza tra firma digitale, firma qualificata e firma elettronica abbiamo chiarito le differenze tra le varie tipologie di firma.