Complice anche una visione un po’ troppo spostata sugli Stati Uniti, in molti quando sentono parlare di Russia, di applicazioni web e di sicurezza drizzano subito le antenne. Eppure è russo l’inventore di un’apprezzatissima app di messaggistica qual è Telegram e sono russe altre applicazioni “degne di nota”.
Nei giorni scorsi, proprio in seguito a una formale richiesta di verifica nei confronti della popolarissima app Android e iOS FaceApp avanzata negli Stati Uniti dal senatore democratico Chuck Schumer (che ha richiesto l’intervento dell’FBI), in mezzo mondo – Italia compresa – si è tracciato un quadro che oggettivamente appare un po’ troppo a tinte fosche.
Nell’articolo FaceApp: due parole sull’opportunità di inviare dati personali all’applicazione abbiamo commentato le tante analisi che nelle scorse settimane si sono susseguite, alcune superficiali altre più tecniche, puntuali e quindi maggiormente pertinenti.
Anche noi abbiamo pubblicato i nostri commenti osservando che è importante che gli utenti siano consapevoli dei dati che trasmettono su server remoti ed è altrettanto fondamentale che le app si adeguino alle disposizioni contenute nel Regolamento generale sulla protezione dei dati (GDPR) approvato in sede europea e pienamente in vigore.
Da parte nostra abbiamo infatti rilevato una notevole attenzione rispetto agli adempimenti in capo ai siti e alle applicazioni web mentre invece c’è ancora ben poca attenzione rispetto alle politiche sulla privacy usate dalle varie app che gli utenti installano quotidianamente nei loro terminali.
FaceApp, lo ricordiamo, è un’applicazione freemium che offre molte delle sue funzionalità a titolo gratuito mentre richiede un abbonamento mensile, annuale o “a vita” per accedere alcuni filtri ed effetti.
L’app utilizza l’intelligenza artificiale per alterare in tempo reale le foto facendo sorridere soggetti che sono seri, modificando il look con l’aggiunta di acconciature, barbe e baffi, occhiali, trucco e addirittura modificando l’età delle persone raffigurate nelle immagini. A partire da qualunque foto, FaceApp può invecchiare e ringiovanire, virtualmente s’intende, o effeminare/mascolinizzare un soggetto.
L’ideatore dell’app, il russo Yaroslav Goncharov, confermando quanto avevamo rilevato, assicura che a breve la privacy policy di FaceApp verrà modificata (come avevamo evidenziato, non è aggiornata addirittura dal gennaio 2017; GDPR questo sconosciuto…) e nel corso di un’intervista rilasciata a Forbes aggiunge che “con i nuovi termini di utilizzo e la nuova policy sulla privacy, FaceApp rimuoverà i riferimenti ai diritti che l’azienda ha rivendicato sulle immagini delle persone“. I termini attuali garantiscono a FaceApp una proprietà pressoché totale sulle foto inviate permettendo all’azienda di utilizzare, modificare e vendere le immagini come vuole, senza alcun compenso per l’utente. “Le persone si sono spaventate perché pensano che tutto ciò che diciamo in questa politica che facciamo, il che ovviamente non è affatto vero“, ha aggiunto Goncharov. “Giovedì scorso ho cercato di contare il numero di chiamate che ricevevo. Ne ho contate 200 in tre ore o giù di lì“, dice. “Non potevamo fare il nostro lavoro quotidiano“. Semplicemente, aggiunge l’inventore di FaceApp, “per fare questo tipo di prodotto la nostra politica sulla privacy doveva essere molto simile a quella di Instagram. E la nostra attuale politica sulla privacy è molto simile a quella di Instagram ma nessuno incolpa Instagram, perché è Instagram“.
Goncharov ha ribadito che le foto degli utenti vengono caricate sui server cloud di Amazon e Google, fisicamente situati negli Stati Uniti, quindi non certo in Russia. Ha confermato inoltre che “FaceApp rimuove le foto entro 48 ore dall’upload chiedendo ai server Amazon e Google di cancellare automaticamente i dati che si trovano sul sistema“.
Per quanto riguarda il motivo per cui l’azienda memorizza i volti su un server per 48 ore, il CEO di FaceApp sostiene che gli utenti non vogliono ricaricare una foto ogni volta che applicano un nuovo filtro. Per questo motivo, una volta caricata, l’immagine resta temporaneamente sui server di Amazon e Google per applicare sul cloud filtri ed effetti.
Anche gli esperti di Check Point, dopo aver analizzato nel dettaglio il funzionamento di FaceApp, hanno dichiarato che al momento non è stato rilevato nulla di sospetto o fuori dal comune nel funzionamento dell’applicazione.
Goncharov osserva che FaceApp, tra l’altro, richiede i permessi strettamente essenziali mentre altre app cercano di ottenere dall’utente autorizzazioni molto più ampie, per scopi peraltro poco chiari. Lo sviluppatore intende quindi richiamare l’attenzione degli utenti proprio su questo delicato aspetto, troppo spesso trattato superficialmente, soprattutto al momento dell’installazione e dell’esecuzione di una nuova app: Antivirus Android: no, non è affatto inutile.
Chi è l’ideatore di FaceApp
Goncharov ha lavorato su Windows Mobile per Microsoft ed era co-fondatore di un’azienda che ha venduto Yandex, motore di ricerca russo, con un accordo del valore di ben 38 milioni di dollari che lo ha reso ricco.
Il più grande successo è arrivato però con un’azienda che è minuscola al confronto e con un’applicazione che ultimamente è sulla bocca di tutti: proprio FaceApp. A capo di uno staff di appena 12 persone, il 40enne Goncharov racconta che nei primi anni 2000, quando era nella fila di Microsoft, riteneva di cooperare allo sviluppo di un sistema operativo rivoluzionario per i dispositivi mobili, molto prima che Android si affermasse.
“Ero sicuro che stavo costruendo il futuro“, ha dichiarato Goncharov a Forbes riferendosi a Windows Mobile e alle sue esperienze in Microsoft.
Goncharov lamenta che dopo il suo abbandono di Microsoft, Windows Mobile è stato posto in diretta competizione con l’offerta Apple producendo un sistema chiuso, piuttosto che scegliere un’impostazione aperta, sulla scia di ciò che stava avvenendo nel caso di Android. “Quando ci penso, fa ancora male“, dice l’ideatore di FaceApp.
Durante la sua permanenza in Microsoft e poi in Yandex, Goncharov rimase affascinato dalle reti neurali: egli era particolarmente attratto dall’idea che un algoritmo potesse generare un volto da determinati attributi, come il sesso o il colore dei capelli. Dopo 6 mesi di lavoro, spiega, la qualità delle immagini che le sue reti neurali erano in grado di produrre risultava assai migliore rispetto a quella dello “stato dell’arte”.
Così, nel 2016, Goncharov ha iniziato a lavorare su FaceApp per poi lanciare l’applicazione a inizio 2017, in versione beta. Senza fornire dati a sostegno, afferma che FaceApp è stata redditizia sin dal primo lancio due anni fa, con ricavi “buoni” e cifre di crescita, nonostante la base di utenti paganti sia pari a circa l’1%.
Anche prendendo in considerazione 100 milioni di installazioni (sono poche considerando che l’app viene usata sia su Android che su iOS), l’azienda – da stime “spannometriche” – potrebbe introitare almeno 5 milioni di euro l’anno, con una stima che riteniamo molto prudente.
Per il futuro, Goncharov anticipa che la sua azienda si concentrerà sulla modifica dei video in tempo reale: un funzionamento molto simile a quello di FaceApp ma incentrato sulle sequenze filmate.