Due riceratori accademici, Benjamin Edelman e Benjamin Lockwood hanno pubblicato i risultati di un’indagine avente come obiettivo quello di verificare il comportamento dei vari motori di ricerca in fase di composizione delle SERP (le pagine che propongono i risultati in seguito ad una qualunque interrogazione dell’utente). “Abbiamo stabilito che tutti i motori di ricerca tendono a favorire i propri servizi“, hanno premesso i due studiosi spiegando che i servizi dei concorrenti non vengono generalmente messi in bella evidenza. “Alcuni motori di ricerca, però, promuovono i propri servizi in modo molto più pesante ed incisivo rispetto ad altri“, hanno aggiunto i due Ben.
Chi può affermare se una SERP restituita da un motore di ricerca sia o meno corretta? Nessuno. Perché i risultati proposti all’utente dopo aver digitato una o più parole chiave vengono composti sulla base di un “criterio soggettivo”, proprio di ciascun motore di ricerca, e che è influenzato da molteplici parametri. Edelman e Lockwood sostengono tuttavia che, in determinate circostanze, i risultati delle ricerche siano comunque influenzati da determinati fattori che vengono a galla quando si paragona un motore rispetto ad un altro.
Introducendo termini come “mail” od “email“, spiega il duo di ricercatori, è immediato verificare come GMail, sul motore di ricerca di Google, appaia immediatamente nelle prime posizione (al primo posto utilizzando la versione inglese del motore di Mountain View). Verificando i risultati pubblicati a questo indirizzo, Google e Yahoo sembrano promuovere molto più frequentemente i propri servizi rispetto a quanto non faccia, per esempio, Microsoft Bing.
La risposta di Google non si farà probabilmente attendere molto dal momento che Edelman e Lockwood si sono pubblicamente dichiarati scettici sulle affermazioni rese dall’azienda fondata da Larry Page e Sergey Brin. E si ricordano le frasi che campeggiano in molti documenti di Google: “i risultati delle ricerche sono generati in modo algoritmico”, “sono obiettivi” e “mai manipolati”. Giusto per metter ancor più il dito nella piaga, si cita una dichiarazione di Marissa Mayer (Google) che spiegò come, al momento del lancio di Google Finance, l’azienda dovette porre un link al servizio in prima posizione. “Apprezziamo la franca ammissione di Marissa Mayer“, hanno scritto Edelman e Lockwood “la nostra analisi corrispondente a quanto spiegato dalla Mayer. Ciò che ci sorprende è la dissonanza tre le sue affermazioni e quando Google sostiene in qualunque altro contesto pubblico“.