Tiffany, la famosa azienda newyorkese che si occupa della vendita di gioielli tramite migliaia di punti vendita sparsi per il globo, non è riuscita a convincere la corte d’appello ad emanare una sentenza di condanna nei confronti di eBay.
Il colosso delle aste online non è stato ritenuto colpevole per le vendite di merce contraffatta poste in essere attraverso il suo sito web. Il giudice di New York ha quindi confermato quanto stabilito nel luglio 2008 con una precedente sentenza.
Il provvedimento ha fatto andare su tutte le furie i responsabili di Tiffany: “come azienda leadere nel settore dell’e-commerce, eBay ha la responsabilità di difendere i propri clienti e far sì che questi possano riporre massima fiducia nei prodotti presenti all’interno del negozio virtuale“, ha dichiarato Michael J. Kowalski, presidente e CEO dell’azienda.
La posizione di eBay, com’è ovvio, è diametralmente opposta ed il legale dell’azienda tiene a rimarcare come la società d’aste abbia tutto l’interesse di combattere la commercializzazione di prodotti contraffatti.
La sentenza del giudice della “Grande Mela” ha considerato eBay alla stregua di un semplice intermediario, da non ritenersi responsabile per attività illecite promosse dagli utenti. Il sito di aste più conosciuto al mondo, secondo il giudice, non ha venduto in proprio i prodotti che imitavano la merce di Tiffany: non c’è stata quindi neppure una violazione di alcun marchio registrato.
A fine marzo era arrivata anche la notizia dell’accordo tra eBay, FBI e NRF (National Retail Federation) avente come obiettivo quello di dare battaglia alla commercializzazione di materiale rubato. Secondo le stime rese pubbliche, gli introiti che hanno ottenuto, nel corso del 2009, i commercianti di merce oggetto di furti sono stati pari a circa 115 miliardi di dollari.
Mentre eBay festeggia il suo successo in tribunale, Microsoft subisce una condanna nella causa per violazione di brevetto intentata a suo tempo da i4i. L’istanza inoltrata dal colosso di Redmond con la quale veniva richiesto un riesame del caso dopo la sentenza arrivata a dicembre, è stata infatti rigettata.
Il giudice federale, riconoscendo come fondate le accuse lanciate dalla società canadese i4i – che lamentava la violazione di un suo brevetto -, comminò a Microsoft un’ammenda pari a 290 milioni di dollari obbligando la società a modificare una funzionalità presente in Word e legata alla gestione del codice XML.
Microsoft ha già rilasciato nei mesi scorsi una patch che interviene sul funzionamento di Office 2003 e di Office 2007 in modo da rimuovere il codice oggetto di contestazione.