Crittografia omomorfica: cos'è e come funziona il chip Intel

La crittografia omomorfica permetterà di elaborare i dati riservati senza più bisogno di decodificarli. Il gestore del servizio non avrà più alcun tipo di visibilità sui contenuti degli utenti.

La riservatezza dei dati è un tema estremamente caldo al giorno d’oggi. Uno degli aspetti che spingono molti utenti a non caricare i propri dati personali sul cloud è la potenziale abilità del gestore del servizio di accedere alle informazioni dell’utente.
Le chiavi crittografiche per la decodifica dei dati degli utenti sono infatti di solito note ai fornitori dei servizi.

La crittografia omomorfica risolve questo problema: essa fa in modo che le informazioni memorizzate sul cloud non debbano mai essere decifrate e restino quindi sempre protette e al sicuro. Si tratta di una soluzione che permette al gestore dello storage cloud di erogare il suo servizio senza conoscere quali operazioni gli utenti stanno eseguendo né il contenuto delle informazioni che stanno trattando.

Intel e DARPA, agenzia governativa del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti (le rete ARPANET che fu realizzata in seno all’agenzia nel 1969 costituì la base per la nascita di Internet nel 1983), hanno avviato una collaborazione per ottimizzare il supporto per la crittografia omomorfica completa (fully homomorphic encryption, FHE) ovvero per gestire in hardware tutte le operazioni più complesse.

Intel svilupperà un acceleratore basato su un circuito integrato ASIC concepito per eseguire operazioni specifiche in tempi estremamente ridotti.
Com’è noto, infatti, la manipolazione delle informazioni crittografate rallenta le elaborazioni: un’operazione che potrebbe richiedere soltanto un secondo lavorando su informazioni in chiaro può richiedere ore o giorni per essere completata partendo da dati cifrati.
Da qui l’importanza di sviluppare chip con il supporto integrato per la crittografia omomorfica completa capaci di eseguire i calcoli in pochi secondi.

Il programma sul quale Intel e DARPA stanno lavorando (al progetto si è aggiunta anche Microsoft) si chiama “Data Protection in Virtual Environments” (DPRIVE) e permetterà di proteggere efficacemente i dati anche durante le fasi di calcolo, cosa non possibile oggi.
Gli sforzi che verranno compiuti dovrebbero consentire di definire standard a livello internazionale per abilitare il supporto universale di FHE.

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