Computer bioibrido: il primo che usa tessuto cerebrale umano

Un gruppo di ricercatori universitari sviluppa un prototipo di computer bioibrido: unisce l'informatica tradizionale con l'utilizzo di tessuti cerebrali coltivati in laboratorio a partire da cellule staminali umane. Il sistema, chiamato Brainoware riesce già a riconoscere il parlato umano e a lavorare su modelli previsionali.

Le reti neurali artificiali presentano molteplici analogie con i meccanismi alla base del funzionamento del cervello umano. Come abbiamo già evidenziato, l’evoluzione delle future intelligenze artificiali potrebbe passare attraverso l’utilizzo di organoidi cerebrali, aggregati tridimensionali di cellule coltivate in laboratorio che cercano di ricreare in modo semplificato la struttura e la funzione del cervello. Da qui alla nascita di un computer bioibrido, che integra componenti biologici con quelli elettronici, il passo potrebbe essere breve.

Lo dimostra un team di ricercatori accademici guidato da Feng Guo (Università dell’Indiana, Bloomington), che è riuscito nell’impresa di creare una configurazione basata sull’utilizzo di un organoide cerebrale costituito da cellule staminali umane e collegato a un chip elettronico, al fine di eseguire e registrare semplici compiti computazionali.

Il progetto si chiama Brainoware e mostra chiaramente gli orizzonti sconfinati verso i quali potrebbe portarci in futuro la bioinformatica ovvero quella disciplina scientifica che combina l’informatica più tradizionale con l’interazione attraverso l’uso di strutture biologiche. Lo studio è appena apparso sulla rivista scientifica Nature Electronics.

Cos’è e come funziona Brainoware

Negli ultimi anni, scienziati e ingegneri hanno cercato di avvicinarsi alle capacità del cervello progettando hardware e algoritmi in grado di approssimare la sua struttura e il modo con cui funziona. Conosciuto come computing neuromorfico, questa particolare branca sta facendo registrare continui progressi ma le sue elaborazioni sono energivore e l’addestramento delle reti neurali artificiali richiede tempo (oltre a una serie di particolari attenzioni).

Guo e i suoi colleghi hanno sfruttato un approccio diverso utilizzando vero tessuto cerebrale umano coltivato in laboratorio. Cellule staminali sono state incoraggiate a svilupparsi in diversi tipi di cellule cerebrali che si sono organizzate in organoidi tridimensionali, completi di interconnessioni e strutture.

Brainoware consiste di organoidi cerebrali collegati a un array di microelettrodi ad alta densità: essi costituiscono l’interfaccia tra il tessuto cerebrale e il sistema elettronico. La connettività così realizzata consente la registrazione delle attività neurali e la trasmissione di segnali elettrici al tessuto cerebrale.

La soluzione presentata si basa su un meccanismo noto come reservoir computing: gli organoidi cerebrali agiscono come “serbatoi” (reservoir) nei quali è elaborata l’informazione, trasportata attraverso stimolazioni elettriche.

Gli strati di inputoutput sono implementati utilizzando l’hardware di un normale computer. Gli strati di input ricevono dati dall’ambiente esterno o dagli organoidi, mentre gli strati di output interpretano le risposte neurali elaborate a valle del sistema di reservoir computing.

Addestrando gli strati di input e output in modo da lavorare in simbiosi con gli organoidi, è possibile indurre il sistema a imparare compiti specifici, come il riconoscimento vocale o la previsione di modelli complessi.

Cosa è già in grado di fare il computer bioibrido creato a partire da tessuto cerebrale coltivato in laboratorio

Nel caso specifico di Brainoware, i ricercatori hanno avuto successo nell’addestrare il sistema per svolgere compiti come il riconoscimento del parlato e la previsione di modelli non lineari. Il computer bioibrido è ad esempio riuscito a identificare voci specifiche con un’accuratezza significativa e di prevedere modelli complessi come quelli rappresentabili con una mappa di Hénon.

Il team di ricerca sottolinea come Brainoware possa effettivamente elaborare informazioni ed eseguire attività computazionali senza supervisione umana.

Tra i vari test condotti, il sistema basato sull’utilizzo di organoidi cerebrali ha riconosciuto con una precisione pari a circa il 78%, con solo due giorni di formazione e con l’utilizzo di 240 clip audio preregistrati, la voce di varie persone. Guo precisa che è una prima approssimazione di ciò che sarà possibile ottenere in futuro: “i risultati di questo esperimento costituiscono la prima dimostrazione dell’utilizzo degli organoidi cerebrali in ambito informatico. Siamo stati in grado di confermare il potenziale degli organoidi cerebrali nel futuro della bioinformatica“.

Parallelamente, tuttavia, Lena Smirnova e Brian Kafo (Johns Hopkins University) parlano delle questioni etiche che si presenteranno via via che gli esperti metteranno a punto utilizzi sempre più sofisticati degli organoidi cerebrali. Tuttavia, oltre che sul versante dell’intelligenza artificiale, “la ricerca fornisce approfondimenti fondamentali sui meccanismi di apprendimento, sviluppo neurologico e impatto cognitivo delle malattie neurodegenerative. Ha il grande potenziale per produrre nuovi risultati che potrebbero essere utili per sviluppare modelli utili a testare nuovi trattamenti“.

Credit immagine in apertura: iStock.com/imaginima

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