La legge di Moore, formulata da Gordon Moore nel 1965, afferma (anche) che il numero di transistor presenti in un microprocessore raddoppia approssimativamente ogni due anni. Ciò ha portato a un aumento esponenziale delle prestazioni e della complessità dei processori. I transistor sono diventati sempre più piccoli e la miniaturizzazione ha raggiunto limiti fisici e tecnologici. I produttori hanno quindi fatto progressivamente sempre più fatica per mantenere il passo della legge di Moore. Tanto che in molti, la descrivono “defunta” ormai da anni. I chiplet possono riportarla in vita, come si è visto con i recenti progressi tecnologici.
Cosa sono i chiplet
AMD ha il grande merito di aver portato il concetto di chiplet sul mercato mainstream. Svincolandosi dallo storico design monolitico dei processori, che Intel sta progressivamente abbandonando oggi, con il lancio degli AMD Ryzen nel 2017, la società di Sunnyvale ha abbracciato una soluzione che guarda a combinare diversi chip in un package comune.
I chiplet permettono di suddividere un singolo microprocessore in più chip più piccoli, che vengono poi assemblati a formare il prodotto finale. Ogni chiplet può essere progettato e fabbricato separatamente, anche utilizzando tecnologie e processi di produzione diversi. La combinazione di vari chiplet consente di creare una soluzione più complessa e versatile. Con i chiplet i produttori possono offrire maggiore scalabilità e flessibilità, puntare su un migliore utilizzo delle risorse, ridurre i costi di produzione.
Dicevamo che AMD ha scelto il design a chiplet, altrimenti noto come MCM (Multi-Chip Module) già per i suoi Ryzen di prima generazione basati sulla rivoluzionaria architettura Zen. I chiplet sono interconnessi attraverso il collegamento ad alta velocità chiamato Infinity Fabric. Grazie a questa soluzione, AMD ha potuto offrire processori con un numero crescente di core e prestazioni elevate, mantenendo al contempo una buona efficienza energetica.
Da parte sua, Intel ha dapprima deciso di orientarsi sulla commistione tra core-P e core-E nei processori per poi più di recente (a partire dall’offerta Meteor Lake) guardare convintamente al design MCM.
Quando nasce il design MCM (Multi-chip Module)
AMD, tuttavia, non è stata la prima a lanciare il design a chiplet. Il design MCM è stato sviluppato e introdotto per la prima volta negli anni ’60 e ’70 da diverse aziende e istituti di ricerca. Tra i pionieri del design MCM si possono citare, ad esempio, IBM e Bell Labs.
Negli anni ’60, IBM ha introdotto il primo sistema computerizzato utilizzando un approccio MCM, noto come IBM System/360 Model 91; i ricercatori di Bell Labs hanno proposto nel 1966 l’idea di utilizzare chip separati e di integrarli in un singolo modulo per migliorare le prestazioni e la densità.
Mostek inserì due chip DRAM MK4116 da 16 Kbit in un pacchetto ceramico per creare la DRAM MK4332D da 32 Kbit nel 1979. Intel ha accoppiato una CPU e un chip SRAM nel Pentium Pro, introdotto alla fine del 1995.
Il primo utilizzo della tecnologia chiplet moderna può essere però considerato l’FPGA Xilinx Virtex-7 2000T, introdotto alla fine del 2011. Tale FPGA, insieme con il successivo Xilinx Virtex-7 580HT, utilizzavano una soluzione a chiplet co-sviluppata da Xilinx (poi acquisita da AMD) e TSMC. Quella tecnologia, basata su interposer di silicio (sottile struttura di silicio utilizzata per collegare diversi componenti elettronici su un substrato comune), si è evoluta ed è ancora disponibile presso TSMC con il nome di CoWoS (Chip on Wafer on Substrate).
Chiplet sempre più presenti nei SoC, anche a livello di GPU
Proprio NVidia, che è stata tra le prime realtà ad accantonare la legge di Moore parlando soltanto di legge di Huang, il CEO dell’azienda, ha recentemente confermato di aver stipulato un importante accordo con MediaTek.
Jensen Huang e Rick Tsai hanno annunciato che NVidia fornirà chiplet GPU a MediaTek da incorporare in un unico SoC (System-on-a-Chip). La novità è importante: già AMD aveva bollato come “fantastica” l’idea di usare chiplet per le GPU.
Intel stessa ha creato un circuito integrato con oltre 100 miliardi di transistor nello stesso package. È stato possibile incorporando 47 chiplet attivi (Intel preferisce chiamarli “tile”) all’interno di una GPU Ponte Vecchio (nell’immagine in apertura; ora chiamata Data Center GPU Max Series) per le applicazioni di calcolo ad alte prestazioni. Un traguardo che l’azienda di Santa Clara non avrebbe mai potuto raggiungere affidandosi a un chip monolitico.
Mancanza di standard: consorzio UCIe al lavoro
Una delle cose che frenano l’utilizzo dei chiplet su larga scala è la mancanza di standard di interfaccia, a livello fisico ed elettrico. Il lavoro svolto dall’Universal Chiplet Interconnect Express (UCIe) dovrebbe colmare questo gap: tant’è vero che il numero di aziende che partecipano al consorzio è in continua crescita.
Fino a quando UCIe non svilupperà gli standard necessari, con il convinto sostegno dell’industria, il mercato dei chiplet rimarrà limitato e l’utilizzo di questa soluzione confinata ai più grandi produttori di semiconduttori come AMD, Intel, MediaTek e Nvidia, che possono permettersi di svolgere un ruolo pioneristico.
Con buona pace di NVidia, inoltre, l’uso dei chiplet per i moderni microprocessori potrebbe riportare in vita la legge di Moore aumentando ulteriormente la densità dei transistor. Pur sostenendo l’aumento delle prestazioni e delle funzionalità del processore, grazie ai chiplet la progettazione e la produzione restano pratiche ed efficienti. L’uso dei chiplet può insomma essere considerato come una strategia per continuare a seguire la tendenza della legge di Moore, sfruttando il parallelismo e l’integrazione di più chip per ottenere prestazioni e complessità crescenti.