Un tribunale californiano ha parzialmente respinto la causa intentata da Sarah Silverman contro OpenAI per quanto riguarda la violazione del copyright.
L’azione legale in questione, avviata dai legali della comica ed attrice statunitense durante il 2023, si basa sulla convinzione di diversi autori che ChatGPT stia attingendo a loro proprietà intellettuali quando viene utilizzato in chatbot. Alla causa, oltre a Silverman, partecipano anche Christopher Golden, Richard Kadrey e Paul Tremblay.
Il documento presentato dagli avvocati cerca di fare leva su sei possibili denunce, con OpenAI che ha chiesto il respingimento di tutte tranne che di una, ovvero la principale. Il suddetto tribunale ha bocciato tutte le richieste tranne la principale, ovvero l’accusa di violazione diretta del copyright.
Causa Sarah Silverman contro OpenAI: resta in piedi l’accusa di violazione diretta del copyright
Nella sentenza, il giudice Araceli Martínez-Olguín ha respinto le accuse di violazione indiretta del copyright, violazioni del DMCA, negligenza e arricchimento ingiustificato.
La corte, infatti, non ha ritenuto fondate le accuse riguardo presunte ricorrenti di pratiche commerciali illegali e di condotta fraudolenta legate alla concorrenza sleale. Ha invece accolto l’accusa di concorrenza sleale secondo cui OpenAI non ha chiesto il permesso di utilizzare il lavoro degli artisti per profitti commerciali.
Martínez-Olguín ha inoltre sottolineato che i querelanti “Non hanno affermato che gli output di ChatGPT contengano copie dirette dei libri protetti da copyright” e che “Devono mostrare una sostanziale somiglianza tra gli output e i materiali protetti da copyright“.
Sebbene OpenAI abbia ottenuto alcune parziali vittorie dal tribunale, rimane sul tavolo la denuncia principale secondo cui ChatGPT ha violato direttamente i diritti d’autore, il che non è di certo poco. Va inoltre considerato come, per OpenAI, questa non sia l’unica disputa legale con cui è alle prese.
Sempre nel contesto del copyright, altre cause sono state intentate da autori come George R.R. Martin e John Grisham, senza tenere conto di come la compagnia sia stata citata, sempre per questioni di diritti d’autore, anche dal New York Times.