L’avvento delle reti 5G segnerà al contempo un’evoluzione e una rivoluzione per ciò che riguarda gli esistenti sistemi di comunicazione, sia (soprattutto) in mobilità che da postazione fissa. Nell’articolo 5G: quali le potenzialità e i campi applicativi delle reti di nuova generazione abbiamo posto l’accento su alcuni esempi di utilizzo delle reti di quinta generazione mentre nell’approfondimento 5G, cos’è, come funziona e quando i terminali saranno compatibili abbiamo cercato di spiegare come funziona la connettività 5G.
Nel corso di un’audizione innanzi alla Commissione Trasporti, Poste e Telecomunicazioni della Camera dei Deputati, il presidente dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (AGCOM), Angelo Marcello Cardani, si è soffermato su una serie di tematiche correlate con il dispiegamento delle reti 5G e la gestione dei big data.
Per coadiuvare lo sviluppo delle reti 5G, il primo passo è necessariamente legato alla disponibilità di adeguate risorse spettrali. Nell’articolo 5G: cosa cambia nell’utilizzo delle frequenze ci siamo concentrati proprio su questo aspetto.
A corollario della sua relazione, consultabile integralmente a questo indirizzo, il professor Cardani ha ribadito che la tecnologia 5G “espone a un inquinamento elettromagnetico molto inferiore rispetto agli standard di precedente generazione: 2G/3G/4G“.
Come abbiamo spesso evidenziato, infatti, le reti 5G non apportano innovazioni significative sullo standard di accesso radio – pur presenti con la nuova interfaccia New Radio (NR) (le differenze rispetto al 4,5G riguardano anche l’introduzione di nuovi sistemi di codifica, multiplazione e correzione degli errori: Filtered OFDM, Sparse Code Multiple Access, Polar Codes e così via) – ma sfruttano l’architettura di rete per soddisfare gli sfidanti requisiti di qualità del servizio (velocità di download pari ad almeno 10 Gbps e latenza nell’ordine del millisecondo).
Il 5G utilizza alcune porzioni dello spettro delle frequenze non impiegate in precedenza per la trasmissione dei dati su rete mobile (ma già adoperate per altri servizi, ad esempio dai network televisivi per il digitale terrestre) oltre che dai 24 GHz a salire.
Le frequenze più elevate saranno utilizzate solo in un secondo tempo per allestire le cosiddette small cell, piccole celle inizialmente installate dagli operatori solo in luoghi ad alta densità di traffico come i centri delle città, gli stadi o gli impianti industriali con l’obiettivo di fornire connettività ad elevatissime prestazioni (o per stabilire link wireless tra due punti con perfetta visibilità ottica).
Cardani ha proseguito osservando che il 5G “è una tecnologia assolutamente non pericolosa” e che le preoccupazioni manifestate da più parte, compresi gruppi di cittadini costituitisi in associazioni e comitati, sono “totalmente infondate e negate dai limiti degli altri Paesi e negate dall’opinione di medici, fisici e ingegneri“.
Sul versante delle potenze emissive, infatti, non cambia nulla e il valore del campo non potrà superare i termini di legge: in Italia è pari a 6 V/m anche se alcuni operatori ne stanno chiedendo l’innalzamento dal momento che negli Stati Uniti, ad esempio, è possibile spingersi fino a 61 V/m. Su questo particolare aspetto Cardani ha fatto presente che non è comunque da escludersi una revisione dei limiti di legge.
Sul complesso tema della sicurezza e dell’integrità delle reti, che ha visto di recente anche una ragionevole presa di posizione della Commissione Europea (vedere L’Europa mette nero su bianco i rischi legati all’implementazione delle reti 5G), il presidente di AGCOM ha spiegato che presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri è stata istituita una cabina di regia che vede la partecipazione di diversi organismi e in cui è coinvolta anche l’Autorità.
Cardani ha però fatto notare che tra apparati progettati, prodotti e commercializzati da società cinesi e apparecchiature per le telecomunicazioni di origine statunitense bisogna naturalmente scegliere. L’Italia, insomma, non può usare un atteggiamento autarchico.
Infine, sull’eventuale scorporo della rete TIM e sulla fusione con Open Fiber, Cardani ripete il suo punto di vista, già manifestato tempo fa: Fusione delle reti TIM e Open Fiber: per Cardani il controllo non dev’essere dell’ex monopolista.
Secondo il numero uno di AGCOM, insomma, TIM non dovrebbe in ogni caso appropriarsi del backbone di Open Fiber: il rischio, sempre per Cardani, sarebbe quello di fare un salto nel passato lasciando all’operatore il monopolio, come negli anni ’80.