Apple è da tempo nell’occhio del ciclone: alcuni sviluppatori si sono lamentati del trattamento ricevuto dall’azienda di Tim Cook rispetto alla pubblicazione e alla distribuzione delle loro applicazioni attraverso l’App Store.
La tesi è che Apple non soltanto obbliga gli sviluppatori a versare nelle sue casse una percentuale rilevante degli introiti derivanti dalle vendite ma impedirebbe l’utilizzo di soluzioni di pagamento sviluppate da terze parti. Chi realizza e distribuisce applicazioni per l’intero “ecosistema” Apple non avrebbe alcuna alternativa se non sottostare alle condizioni fissate dalla Mela. Così Spotify ha presentato una denuncia formale alla Commissione Europea e tesi simili sono state recentemente avanzate anche da Microsoft: Microsoft: scontro frontale con Apple in tema App Store.
Durante l’inchiesta avviata dal Congresso degli Stati Uniti al fine di valutare se aziende quali Amazon, Apple, Facebook e Google si trovino in condizione di monopolio, hanno fatto scalpore le dichiarazioni rese dagli autori di ProtonMail, un servizio nato sotto la spinta di alcuni ingegneri del CERN di Ginevra, che permette di inviare e ricevere email in forma crittografata usando la cifratura end-to-end: vedere Posta elettronica crittografata: ProtonMail fa scaricare le email dai normali client.
Andy Yen, fondatore e CEO di Proton Technologies (società che ha curato lo sviluppo, oltre che di ProtonMail, anche della nota ProtonVPN), ha speso parole di fuoco nei confronti di Apple confermando i commenti resi in precedenza da altri 21 sviluppatori, raccolti dalla società specializzata in analisi di mercato Stratechery.
Apple avrebbe spronato gli sviluppatori di app gratuite a integrare nei loro prodotti acquisti in-app e secondo Yen il comportamento tenuto dalla Mela non sarebbe pubblicamente emerso in tutte le sue sfaccettature in forza del timore di ritorsioni manifestato da tante società che si appoggiano all’App Store.
Yen si spinge ancora più avanti e paragona l’atteggiamento di Apple a un'”estorsione mafiosa”: per i primi due anni in cui ProtonMail ha debuttato nell’App Store non si sono verificati problemi. In seguito, però, ha cominciato a spingere affinché gli sviluppatori inserissero obbligatoriamente la funzionalità per gli acquisti in-app. Tale “trattamento” sarebbe stato applicato per tutti coloro che iniziavano a far registrare un elevato numero di download e installazioni da parte degli utenti finali.
“La versione di ProtonMail pubblicata nell’App Store non era a pagamento ma all’improvviso, nel 2018, Apple ci ha richiesto di inserire gli acquisti in-app se volevamo rimanere nel loro store“, osserva Yen. “Si sono imbattuti in qualcosa nell’app che diceva che c’erano piani a pagamento, sono andati sul nostro sito web e hanno visto che c’era un abbonamento che si poteva acquistare. Effettuata tale verifica Apple ha preteso l’inserimento dell’acquisto in-app. In Apple sono giudici, giuria ed esecutori delle sentenze: si può sempre prendere o lasciare. Non si può ottenere alcun tipo di colloquio per motivare il proprio comportamento. Va bene solo e soltanto quello che stabilisce Apple“.
ProtonMail ha quindi dovuto sottostare alle richieste di Apple e adeguarsi per evitare di perdere interamente il suo business in ambito iOS e macOS.
Apple, da parte sua, è che le regole sono molto più permissive di quanto possa sembrare: secondo la Mela le app gratuite che lavorando a compendio di uno strumento web-based a pagamento non devono implementare gli acquisti in-app, almeno fintanto che esse stesse non offriranno la possibilità di acquistare direttamente servizi premium. Gli sviluppatori possono inoltre pubblicizzare prezzi diversi su qualunque altro canale diverso dall’App Store.
Sarebbe proprio la situazione di ProtonMail e di altri sviluppatori che si sono precedentemente lamentati. Eppure, prosegue Yen, la realtà è stata e sarebbe ben diversa da quella che ora viene dipinta da Apple. E si continuano a chiedere regole certe, non interpretabili in maniera arbitraria.