Le inserzioni pubblicitarie sono lo strumento utilizzato da Google per sostenere la pubblicazione e la diffusione attraverso YouTube dei video prodotti dagli oltre 60 milioni di creators a livello mondiale (dato aggiornato al mese di settembre 2023). Chi effettua il blocco pubblicità su YouTube non merita di fruire del servizio, secondo l’azienda di Mountain View. Anche perché chi è allergico all’advertising può stipulare un abbonamento al servizio YouTube Premium, che disattiva automaticamente tutta la pubblicità.
Dopo lo stop agli adblock su YouTube, Google ha aggiunto un messaggio a comparsa che cerca di riportare “sulla retta via” gli utenti facenti uso di meccanismi di blocco delle pubblicità. “Se blocchi gli annunci di YouTube, violi i Termini di servizio; se utilizzi i blocchi degli annunci, ti chiederemo di consentire gli annunci su YouTube o di abbonarti a YouTube Premium. Se continui a utilizzare i blocchi degli annunci, potremmo bloccare la riproduzione dei video che vuoi guardare“, scrive Google in un documento di supporto apparso online il 16 ottobre 2023.
Ogni volta che si accede da browser a YouTube, la piattaforma di streaming e condivisione video verifica se l’utente stesse avvalendosi di un adblocker. In questo caso la comparsa di un pop-up conferma che l’uso di questi strumenti non è consentito su YouTube.
Il controllo anti-adblocker su YouTube non rispetterebbe la normativa europea sulla privacy
Alexander Hanff, legale che si occupa da una vita di privacy e tutela dei dati personali, spiega dalle colonne di The Register, di aver presentato una contestazione formale dinanzi al Garante irlandese (DPC, Data Protection Commission) contestando le modalità con cui YouTube e quindi Google effettuano il controllo circa l’eventuale utilizzo di un adblocker sul client di ogni singolo utente.
Secondo Hanff, lo script usato da Google sarebbe contrario alle disposizioni in materia di privacy dell’Unione Europea (Direttiva ePrivacy) perché YouTube non ha prima chiesto il consenso esplicito per condurre una serie di interrogazioni sul browser. Sì, perché il codice JavaScript elaborato dai tecnici di Google, secondo la tesi accusatoria, non può prescindere da una raccolta di dati che è effettuata sul browser dell’utente, senza esplicita autorizzazione.
Cosa prevede la normativa sul trattamento dei dati personali e sulla tutela della vita privata nel settore delle comunicazioni elettroniche
Il legale fa riferimento all’articolo 5 comma 3 della Direttiva ePrivacy che così recita: “gli Stati membri assicurano che l’uso di reti di comunicazione elettronica per archiviare informazioni o per avere accesso a informazioni archiviate nell’apparecchio terminale di un abbonato o di un utente sia consentito unicamente a condizione che l’abbonato o l’utente interessato sia stato informato in modo chiaro e completo, tra l’altro, sugli scopi del trattamento in conformità della direttiva 95/46/CE e che gli sia offerta la possibilità di rifiutare tale trattamento da parte del responsabile del trattamento. Ciò non impedisce l’eventuale memorizzazione tecnica o l’accesso al solo fine di effettuare o facilitare la trasmissione di una comunicazione su una rete di comunicazione elettronica, o nella misura strettamente necessaria a fornire un servizio della società dell’informazione esplicitamente richiesto dall’abbonato o dall’utente“.
Una risposta ricevuta da Hanff dalla Commissione Europea confermerebbe che l’implementazione e l’uso di script o di altre tecnologie per rilevare un blocco degli annunci richiede comunque il consenso degli utenti.
Lo sviluppatore di uno strumento di ad-blocking, chiamato BlockAdblock, aveva cercato di confutare l’affermazione secondo cui le tecniche di rilevamento dei blocchi pubblicitari sono da ritenersi illegali nell’intero territorio dell’Unione Europea. La tesi era che il codice JavaScript non è memorizzato nel modo previsto dall’articolo 5, comma 3, che secondo BlockAdblock sarebbe pensato per i coookie.
Di diverso avviso è Hanff che osserva come sia il legislatore che la Commissione sono chiari sul fatto che qualsiasi accesso all’apparecchiatura terminale di un utente che non sia strettamente necessario per la fornitura di un servizio richiesto, richiede il consenso esplicito.