Un servizio universale è un servizio che risulta messo a disposizione di tutti gli utenti sul territorio nazionale a prescindere dalla loro ubicazione geografica. Il prezzo deve essere accessibile e il fornitore deve garantire l’erogazione di un insieme minimo di funzionalità.
Nel campo delle telecomunicazioni, quando praticamente tutti dispongono di una o più utenze mobili, il servizio di accesso alla rete telefonica da postazione fissa (telefono fisso) rimane considerato servizio universale.
Incredibilmente, invece, come in passato chiesto a gran voce dai cittadini e dalle imprese in aree digital divise, la banda larga non ancora è considerata un servizio universale: in altre parole, nessun operatore è obbligato a fornire l’accesso a Internet in tutte le unità immobiliari d’Italia.
Fino a qualche tempo fa restava obbligatoria la possibilità di fruire di una connessione a 56 kbps. Una prescrizione ormai anacronistica che ci riporta agli anni ’90. Tant’è vero che TIM ha mandato in pensione i modem 56k, e quindi le connessioni Internet analogiche, già a luglio 2023.
Da anni si è cominciato a parlare di banda larga come servizio universale
Fino a qualche anno fa, prima dell’avvento della fibra misto rame, all’atto pratico il benchmark consisteva nella disponibilità di una connessione ADSL a 20 Mbps (commerciali). Le zone del Paese in cui non era possibile attivare una connessione ADSL erano dette aree bianche. La denominazione è conservata anche oggi: la differenza sta nel fatto, però, che l’asticella risulta notevolmente elevata.
Con area bianca si fa oggi riferimento a una zona in cui nessun operatore ha mai fatto investimenti sulla rete al fine di erogare connessioni a banda ultralarga (almeno FTTC, Fiber-to-the-Cabinet o FWA, Fixed Wireless Access).
A maggio 2022 AGCOM aveva informato circa l’apertura di un procedimento volto a definire la connettività a banda larga come servizio universale. Con la delibera 162/22/CONS, AGCOM osservava che è necessario “garantire la larghezza di banda indispensabile per la partecipazione sociale ed economica alla società“, presso tutti i numeri civici italiani.
A metà dicembre 2022, AGCOM ha pubblicato un aggiornamento (delibera 421/22/CONS) con l’avvio di una consultazione pubblica al fine di sollecitare l’intervento di tutte le parti interessate e definire gli standard minimi utili a garantire a tutti l’accesso a Internet “rendendo effettivo quel “diritto all’accesso” che è stato largamente discusso anche dalla dottrina costituzionalistica“.
20 Mbps diventano il taglio di banda minimo da assicurare a tutti i cittadini
La necessità di estendere a tutti i cittadini la possibilità di attivare una connessione Internet a banda larga è fuori discussione ma a questo punto il principale nodo da sciogliere consiste nella definizione del taglio di banda minimo assicurato a ogni utenza del Paese, ovunque essa si trovi.
Nello schema di provvedimento presentato a suo tempo, AGCOM evidenziava che ai fini del servizio universale, la velocità minima in download per “un servizio di accesso adeguato a Internet a banda larga, necessaria per la partecipazione alla vita sociale ed economica alla società“, era fissata a 4 Mbps offerti con continuità di servizio ossia di norma e, quindi, salvo circostanze eccezionali, ogni giorno, per tutto il giorno, senza interruzioni.
AGCOM osserva che la velocità minima di 4 Mbps consente di supportare almeno l’insieme di servizi “di base” elencati nell’allegato 5 del Codice delle comunicazioni elettroniche.
A dicembre 2023, con la Delibera 309/23/CONS, AGCOM ha stabilito che la velocità nominale in download per un servizio di accesso adeguato a Internet a banda larga, necessaria per la partecipazione alla vita sociale ed economica alla società, è fissata a 20 Mbps. “Tale velocità di connessione consente di supportare almeno l’insieme minimo di servizi elencati nell’allegato 5 al Codice delle comunicazioni elettroniche“, si legge. La banda di rete da offrire come servizio universale, quindi, risulta elevata dai 4 Mbps inizialmente proposti a 20 Mbps (da intendersi come valore di picco).
Qual è l’impatto sugli operatori della decisione AGCOM?
Allo stato attuale, verificato il contenuto della Delibera 309/23/CONS, l’impatto sulle attività degli operatori di telecomunicazioni italiani è di fatto nullo.
Il provvedimento non contiene alcun obbligo vero e proprio, tanto che eventuali disposizioni in tal senso sono rimandate a una data successiva.
L’Autorità tiene a precisare che “gli obblighi di servizio universale vanno considerati come una misura eccezionale, da utilizzare solo quando né il mercato né i meccanismi di intervento pubblico possono fornire agli utenti finali una connessione capace di garantire un servizio di accesso adeguato a Internet a banda larga“.
Per adesso, quindi, non esiste ancora alcun appiglio normativo per quelle utenze (AGCOM ne rilevava circa 136.000 in uno studio del 2022) che ancora non sono raggiunte dalla banda larga, per non parlare dell’ultrabroadband. “Le valutazioni sull’eventuale imposizione di obblighi di fornitura del servizio universale saranno oggetto di un successivo apposito procedimento istruttorio“.
Va detto che sullo sfondo rimane sempre il Piano Italia a 1 Giga: Open Fiber e Fibercop sono tenute portare connessioni ad almeno 1 Gbps presso tutti i civici dove non si superano i 300 Mbps in download. O meglio, le due aziende vincitrici dei bandi pubblici devono realizzare o adeguare la rete (in particolare quella secondaria): saranno poi i singoli provider di telecomunicazioni partner a offrire il collegamento Internet ultrabroadband ai clienti finali.