Il fisco italiano, dopo una serie di accertamenti, aveva puntato il dito contro Apple accusando l’azienda di Cupertino di aver omesso il pagamento di 879 milioni di euro di IRES (imposta sul reddito delle società).
Lo schema, molto simile a quello usato da Apple in altri stati così come da altre aziende, vedeva la filiale italiana della Mela operare sul mercato come una sorta di società di consulenza mentre l’azienda principale, con sede in Irlanda, veniva fatta apparire come unico punto di riferimento in tutte le attività di fatturazione.
Motivo? Evidentemente quello di godere del migliore regime fiscale applicato in Irlanda.
E se nei prossimi anni l’Irlanda non dovrebbe più rappresentare la scelta più gettonata per tutte quelle aziende che desiderano svincolarsi dai regimi fiscali maggiormente penalizzanti (L’Irlanda non sarà più paradiso fiscale: si cambia), intanto i singoli Stati europei iniziano a “battere cassa”.
A fronte di un’evasione stimata di circa 879 milioni di euro, però, il fisco italiano ed Apple si accordano oggi per una somma pari a 318 milioni di euro.
La Mela, nonostante paghi un importo pari ad appena quasi un terzo rispetto a quanto inizialmente contestatole, ha comunque dovuto riconoscere che la filiale italiana dell’azienda svolgeva e gestiva le vendite dei prodotti Apple in maniera diretta nel nostro Paese.
L’erario incassa, quindi, mentre per il momento prosegue l’indagine a carico del legale rappresentante e amministratore delegato di Apple Italia, Enzo Biagini, del direttore finanziario Mauro Cardaio e del manager della Apple Sales International, Michael Thomas O’Sullivan (vedere anche Apple Italia accusata di una maxi evasione fiscale).
È probabile che le contestazioni rivolte ai tre rappresentanti di Apple (omessa dichiarazione in base all’articolo 5 del Decreto legislativo 74/2000) vengano ridimensionate od addirittura completamente stralciate dopo l’accordo multimilionario con l’Agenzia delle Entrate.