Curioso che la class action appena avviata nei confronti di Apple non sia partita dall’Europa, particolarmente attenta a tutti gli adempimenti in materia di privacy e trattamento dei dati, dopo l’entrata in vigore del GDPR, il Regolamento generale sulla protezione dei dati.
Presentata presso il tribunale distrettuale della California settentrionale, nella contestazione formale a carico di Apple si accusa la società di Cupertino di poca chiarezza sulla dislocazione e sulla proprietà dei server cloud usati per fornire i suoi servizi.
In particolare, la Mela sostiene che i dati di iCloud sono “conservati da Apple” quando in realtà verrebbero ospitati anche su macchine gestite da Amazon, Google e Microsoft.
Secondo la tesi dei ricorrenti, Apple avrebbe violato la fiducia dei clienti e non rispettato contratti legalmente vincolanti utilizzando il proprio nome per vendere abbonamenti iCloud a clienti che credono che i loro dati saranno memorizzati all’interno di un’infrastruttura cloud interamente di proprietà della società guidata da Tim Cook.
“Presentandosi come fornitore del servizio iCloud (quando, in realtà, si limitava a rivendere lo spazio di cloud storage su strutture cloud di altre entità) Apple avrebbe tradito la fiducia dei suoi clienti“, si legge nei documenti presentati in giudizio. Gli utenti, infatti, “hanno attribuito maggior valore al servizio ritenendo che il servizio iCloud venisse esclusivamente fornito da Apple“.
La tesi è che Apple non faccia alcun riferimento a server di terze parti nei suoi materiali commerciali così come nei suoi termini e condizioni del servizio iCloud: ecco quindi che i promotori della class action potrebbero aver trovato terreno fertile per aggredire la Mela.
Va detto però che in questo documento incentrato sulle misure di sicurezza implementate in iOS, a pagina 63, Apple conferma che i dati di iCloud possono essere conservati su server cloud di terze parti ma che tutte le informazioni vengono salvate in forma crittografata rendendole inaccessibili non soltanto a soggetti non autorizzati (gestori delle altre piattaforme) ma anche agli stessi tecnici della Mela.
Tempesta in un bicchier d’acqua. Forse sì. Ma se lato server le informazioni personali degli utenti sembrano adeguatamente protette, i giudici statunitensi potrebbero non ritenere sufficientemente chiare le spiegazioni fornite da Apple agli utenti di iCloud al momento dell’attivazione del servizio. Questione più di forma e informazione che di sostanza, quindi.
Il testo della contestazione è consultabile facendo riferimento a questa pagina.