Nell’ormai lontano 2014 Google presentò il progetto Android One, una piattaforma supportata da alcuni partner produttori di smartphone che mirava a offrire, preinstallato su ciascun dispositivo, il sistema operativo in versione stock privo di qualunque personalizzazione.
Con Android One i produttori si impegnavano a fornire aggiornamenti gratuiti per i 18 mesi successivi al lancio dello smartphone sul mercato (quindi anche il passaggio alle versioni successive di Android) e assicuravano il rilascio delle patch di sicurezza per almeno 3 anni.
Il fatto è che nonostante l’interesse degli utenti nei confronti di Android One ci sia ancora, a dimostrazione che l’idea era buona, di fatto non si è più sentito parlare del progetto e nella home page l’elenco dei dispositivi supportati non subisce alcuna modifica.
Lo slogan “Sicuro, aggiornato e facile da usare” posto immediatamente sotto il logo di Android One stride con il banner pubblicitario di un vecchio device come il Nokia 5.3 che usa ancora Android 10 quando Google sta iniziando a distribuire Android 13 agli sviluppatori.
Nessun produttore tra quelli citati rilascia più dispositivi con Android One preinstallato: gli ultimi esemplari risalgono al 2020.
Cos’è successo ad Android One
I dispositivi Android One nascevano già con specifiche un po’ più modeste rispetto ai più blasonati top di gamma. L’obiettivo era quello di assicurare un’esperienza d’uso il più possibile vicina a quella auspicata da Google in un’epoca in cui le personalizzazioni di Android erano davvero pesanti.
Gli smartphone di oggi, anche quelli economici, vantano comunque una dotazione hardware di tutto rispetto e le customizzazioni di Android sono notevolmente evolute rispetto al passato consentendone una gestione molto più semplice. Ma può essere soltanto questo che ha portato all’abbandono del progetto Android One?
Certamente no. Anche perché una buona fetta di utenti Android ha dichiarato di preferire prodotti capaci di garantire un’esperienza d’uso simile a quella dei Google Pixel. Ciò spiega ad esempio il grande successo di Pixelexperience, una delle migliori ROM Android in circolazione che gli utenti spesso installano quando il proprio dispositivo non è più supportato dal produttore (che non rilascia più neppure alcun aggiornamento di sicurezza).
Il fatto è che Google ha imposto un controllo rigoroso sul design industriale di qualsiasi dispositivo venduto come parte del programma Android One. Le restrizioni si estendevano ben oltre la progettazione dell’hardware tanto che la società di Mountain View ha consentito solo un totale di cinque app precaricate, comprese quelle richieste dagli operatori. E tutte le app dovevano essere preventivamente controllate da Google.
Al giorno d’oggi gli smartphone Android puntano tantissimo sulla dotazione software e la gara tra i produttori si è spostata sullo sviluppo di app personalizzate che traggono il massimo dalla dotazione hardware.
Le limitazioni imposte dal programma Android One sono state probabilmente considerate come inaccettabili da quei produttori che desiderano innovare pur conservando il comportamento di Android stock.
Non è escluso che Android One sia stato deliberatamente portato sul viale del tramonto perché ormai aveva raggiunto l’obiettivo iniziale ovvero spronare i produttori a rilasciare software più snello e aggiornamenti a lungo termine.
Sebbene Android One non sia stato ancora ufficialmente dichiarato defunto, ci sono buone probabilità che vada ad aumentare l’immensa mole di progetti avviati e poi abbandonati da Google.