Oggi tutti i nostri dispositivi elettronici utilizzano chip fatti di silicio, un materiale tridimensionale. Come abbiamo spesso evidenziato, i processi costruttivi più evoluti cominciano a scontrarsi con i limiti fisici legati alla miniaturizzazione dei componenti. Se si pensa che un capello umano è largo circa 80.000 nanometri, i nodi produttivi più avanzati (a 3 nm) dei quali possiamo oggi disporre, permettono di ottenere transistor di dimensioni impensabili fino al recente passato. E non è finita qui perché Intel, ad esempio, si dice in grado di realizzare chip a 20 e 18 angstrom, pari a 2 e 1,8 nanometri.
Nonostante i progressi della litografia ultravioletta estrema, prima o poi arriverà un momento in cui continuare a investire sul silicio non sarà più sostenibile. Mentre, allo stesso tempo, la necessità di maggiore memoria e potenza di elaborazione continuerà a lievitare.
Verso una nuova generazione di chip con i materiali bidimensionali
I ricercatori del Princeton Plasma Physics Laboratory (PPPL) del Dipartimento dell’Energia USA stanno applicando la loro esperienza in fisica, chimica e modellizzazione computazionale per creare la prossima generazione di chip, puntando su processi e materiali innovativi.
Molte aziende hanno iniziato a investire sulla progettazione e realizzazione di chip costituiti a partire da materiali bidimensionali. Shoaib Khalid, fisico e ricercatore presso il PPPL, spiega che sebbene si tratti comunque di materiali in tre dimensioni, sono così sottili – spesso composti da pochi strati di atomi – che gli scienziati hanno preso l’abitudine a chiamarli 2D.
Così Khalid, di concerto con i colleghi Bharat Medasani (PPPL) e Anderson Janotti (Università del Delaware), ha studiato un potenziale sostituto del silicio. Si tratta di un materiale 2D noto come TMD (transition-metal dichalcogenide). Il nuovo articolo elaborato a più mani e pubblicato sulla rivista 2D Materials, dettaglia le variazioni che possono verificarsi nella struttura atomica dei TMD, il motivo per cui si manifestano e come influenzano il materiale. Queste informazioni gettano le basi per perfezionare i processi necessari per creare i chip di prossima generazione.
TMD, un sandwich metallico microscopico
Gli studiosi spiegano che il TMD può essere sottile fino a tre atomi. Immaginatelo come un minuscolo sandwich metallico. Il “pane” è costituito da un elemento del gruppo 16 della tavola periodica: ossigeno, zolfo, selenio o tellurio. Il “ripieno” è uno strato di metallo di transizione ovvero qualsiasi metallo dei gruppi da 3 a 12 della tavola periodica.
Un TMD voluminoso ha cinque o più strati di atomi disposti in una struttura cristallina o reticolo. Idealmente, gli atomi sono organizzati in un pattern preciso e coerente, ma in realtà possono verificarsi piccole alterazioni. Queste alterazioni, chiamate difetti, possono avere un impatto benefico.
Alcuni difetti dei TMD, ad esempio, possono rendere il semiconduttore più conduttivo elettricamente. È cruciale che gli scienziati comprendano perché si manifestano i difetti nel materiale, così da poterli sfruttare o rimuovere a seconda delle specifiche necessità.
In generale, la capacità di creare strati così sottili permette una densità di componenti molto maggiore su un singolo chip, aprendo la strada a dispositivi più piccoli e potenti.
Flessibilità ed efficienza energetica
Essendo estremamente sottili e flessibili, i TMD possono essere utilizzati in una varietà di applicazioni che richiedono materiali leggeri e adattabili. Un aspetto particolarmente rilevante per l’elettronica indossabile e i dispositivi pieghevoli, in cui l’uso del silicio risulta troppo rigido.
I dispositivi realizzati con TMD possono operare a tensioni più basse rispetto a quelli in silicio, riducendo il consumo energetico complessivo. Questa caratteristica è fondamentale per prolungare la durata della batteria nei dispositivi mobili e per l’elettronica di consumo in generale.
I TMD possiedono inoltre proprietà ottiche uniche che li rendono adatti per la optoelettronica. La capacità di manipolare la luce a livello atomico permette nuove funzionalità non facilmente ottenibili con il silicio.
La combinazione di tutte queste caratteristiche rende i TMD promettenti candidati per sostituire il silicio nei componenti elettronici. Sebbene ci siano ancora tante sfide da superare, come la scalabilità della produzione e l’integrazione nei processi esistenti, i progressi nella ricerca suggeriscono che i TMD potrebbero davvero diventare la base della prossima generazione di dispositivi elettronici.
Credit immagine in apertura: Kyle Palmer / PPPL Communications Department (CC BY). Rappresenta l’atomo di un elemento del gruppo 16 nel mezzo di un layer TMD.