Continua la saga Google Books. L’associazione degli editori americani aveva citato in giudizio il colosso di Mountain View denunciando una violazione delle leggi a tutela del copyright. “Pietra dello scandalo” il servizio Google Books che propone versioni “digitalizzate” di numerosi libri e testi cartacei. Google si è subito difesa puntualizzando come l’operazione fosse da ritenersi consentita in quanto riguardava la digitalizzazione dei materiali posseduti da parte delle biblioteche.
Google ha comunque proposto un’offerta transattiva con la quale l’azienda fondata da Page e Brin si impegna a versare un compenso agli editori aventi titolo. Messa a disposizione una somma pari a 125 milioni di dollari per creare un registro che funga da “arbitro” tra Google e gli editori in modo che i dententori del diritto d’autore vengano adeguatamente remunerati per le attività di scansione e di riproduzione online delle pubblicazioni cartacee operate da parte di Google.
A settembre il Dipartimento della Giustizia statunitense (DOJ) si era espresso indicando come l’accordo andrebbe rivisto sulla base di diverse normative in materia di diritto d’autore e di antitrust. “L’intesa, così come proposta nell’attuale forma, andrebbe rigettata”, venne osservato.
Il giudice Denny Chin, che segue il caso, ha appena ordinato a Google ed agli editori di abbozzare un accordo di patteggiamento completamente rivisto entro il prossimo 9 novembre.
Secondo quanto riportato da alcune fonti d’Oltreoceano, sembra che le parti in causa sperino di ottenere il “via libera” definitivo entro il mese di dicembre o comunque per l’inizio dell’anno.
Il fronte europeo anti-Google Books continua invece a contestare le attività messe in atto dalla società. Il Commissario europeo Viviane Reding, da parte sua, era intervenuta per “gettare acqua sul fuoco” spiegando l’importanza di poter fruire di una enorme biblioteca digitale come quella in corso di realizzazione da parte di Google. La Reding ha osservato che se l’accordo americano dovesse andare in porto, l’Europa potrebbe trovarsi in una posizione di svantaggio rispetto agli Stati Uniti venendosi a creare una sorta di nuovo divario digitale. La questione, insomma, seppur con i piedi di piombo, andrebbe rapidamente affrontata anche nel Vecchio Continente.