Lo scorso martedì 25 ottobre il servizio di messaggistica istantanea WhatsApp è risultato del tutto inutilizzabile per circa 3 ore. Tanti utenti hanno manifestato il loro disappunto sui social network o segnalato il problema su un noto servizio come DownDetector.
In tanti, però, incredibile ma vero, si sono rivolti al call center di TIM per avere indicazioni e capire come risolvere il problema.
In un altro articolo abbiamo visto cosa fare se WhatsApp non funziona e soprattutto come rendersi immediatamente conto se le difficoltà nell’invio e nella ricezione dei messaggi siano da imputarsi al servizio di messaggistica o a soggetti terzi, tra cui anche l’operatore di telecomunicazioni.
Pietro Labriola, amministratore delegato Gruppo TIM, ha pubblicato una breve nota su LinkedIn per ribadire che i cosiddetti operatori OTT (over-the-top), altrimenti conosciuti con l’acronimo GAFAM (Google, Apple, Facebook, Amazon, Microsoft) o il più aggiornato GAMAM (con la “M” di Meta al posto di Facebook…), dovrebbero interessarsi direttamente dei problemi legati alla connettività.
Sappiamo bene che Google, ad esempio, ha stretto importanti e storici accordi proprio con TIM per realizzare Cloud region italiane a Milano e Torino. L’analisi di Labriola, però, ha evidentemente una valenza di carattere generale: “gli OTT non hanno alcun obbligo, di conseguenza non sopportano alcun costo e ribaltano l’effetto del disservizio sugli operatori delle telecomunicazioni“, scrive il CEO di TIM. “Come emerge dall’indagine annuale di Mediobanca sulle TLC, (il down di WhatsApp, n.d.r.) è solo una delle tante circostanze che rendono concreta e tangibile la necessità di ridefinire le regole del gioco nel nostro settore, e in particolare in Italia“.
Labriola ha toccato due nervi scoperti: da un lato c’è il tema della complementarietà tra OTT e operatori di telecomunicazioni. Dall’altro c’è l’aspetto legato alla scarse competenze digitali delle quali dispone parte della società italiana.
Partiamo dal primo. I servizi offerti da un OTT sono in generale complementari rispetto ai servizi di connettività offerti dai provider che mettono a disposizione l’accesso Internet. WhatsApp si è però rapidamente configurato come un servizio sostitutivo (si pensi ai vecchi SMS, MMS, alla segreteria telefonica e così via) rispetto a quelli forniti dalle telco. Questa è però la dura legge del mercato: alcuni operatori non sono stati abili a promuovere servizi similari nei tempi e nei modi giusti (si pensi anche alla lunga fase di stallo, con un certo disinteresse da parte degli operatori, del protocollo RCS che Google sta provando a rivitalizzare…), non hanno avuto una visione vincente o semplicemente hanno fallito. E ricordiamoci che sullo sfondo c’è sempre la tematica dell’interoperabilità tra i servizi di messaggistica sulla quale tanto sta spingendo il legislatore europeo e che potrebbe trasformarsi in una tegola molto pesante per WhatsApp e “soci”.
Gli OTT separano la responsabilità legata all’erogazione dei loro servizi da quella del trasporto dei pacchetti dati sulla rete che rimane affidata agli operatori di telecomunicazioni. O almeno per tutta la parte che separa l’infrastruttura dell’azienda OTT dalla rete a valle, verso i singoli utenti.
In generale, gli OTT hanno potuto storicamente godere di molte libertà e vantaggi, sia dal punto di vista legale che fiscale. Benefici che sono primariamente figli della “extraterritorialità”. Di contro, le telco devono seguire vincoli stringenti in ciascuno dei Paesi in cui operano.
L’idea, insomma, è quella di rendere gli OTT più consapevoli e maggiormente collaborativi con gli operatori di telecomunicazioni.
“Purtroppo, non solo non possiamo garantire la continuità dei servizi digitali degli OTT che sfruttano le nostre infrastrutture, ma questi non sono neanche tenuti a darci informazioni puntuali sul disservizio e sui tempi stimati di ripristino del servizio, in modo da metterle a disposizione dei nostri clienti“, scrive ancora Labriola.
Certo è che alcuni OTT indicano in tempo (quasi) reale se i loro servizi stiano o meno riscontrando delle problematiche tecniche: Amazon AWS Service health; Google Dashboard; Microsoft 365 Service health. E aggiungiamo anche Cloudflare System Status.
Non ci risulta che Meta faccia lo stesso o quanto meno non lo fa per WhatsApp: come sarebbe utile una pagina che informa circa eventuali problemi rilevati in tempo reale sul network di messaggistica usato da oltre 2 miliardi di persone nel mondo?
Avere a disposizione queste informazioni sarebbe utilissimo per le telco perché saprebbero in tempo reale che cosa rispondere alla clientela.
Se un cliente chiama il servizio di assistenza del suo operatore di telecomunicazioni spetta a quest’ultimo rispondere e, come nel caso di specie, indicare se il problema non dipende dalla sua volontà o comunque da problemi legati alla sua rete.
“In sole 3 ore il call center di TIM ha ricevuto il 310% in più di chiamate rispetto alla media: in 3 ore 65.000 clienti si sono rivolti a noi perché pensavano che potessimo aiutarli a risolvere il problema e dare loro informazioni puntuali“, racconta ancora Labriola.
E qui passiamo al secondo punto. Il tema delle competenze digitali che, purtroppo, ancora oggi non sono state acquisite da una parte degli utenti della rete.
Come abbiamo cercato di spiegare nell’articolo citato nell’introduzione, sarebbero bastate due o al massimo tre verifiche da parte di ogni singolo utente per rendersi subito conto che il problema del mancato funzionamento di WhatsApp non era da imputare né a TIM né a qualunque altro operatore.
E invece ecco le chiamate ai call center (che forse avrebbero potuto essere gestite con l’aggiunta di un messaggio del tipo “se stai chiamando per segnalare l’impossibilità di inviare o ricevere messaggi con WhatsApp, ti informiamo che il problema non dipende dall’operatore di telecomunicazioni e che è necessario attendere la risoluzione da parte di Meta“) e le file di clienti che si sono formate in tanti centri di telefonia lungo la Penisola.
Ognuno può utilizzare quanto accaduto nei giorni scorsi con WhatsApp per riflettere e, presumibilmente, come nuovo ulteriore spunto per gestire incidenti simili in futuro.