La versione per iPhone del browser Opera Mini è stata ufficialmente accettata da Apple: la società ha quindi dato il suo “via libera” per la pubblicazione del programma sullo “store online”.
L’aspetto simpatico è che Apple ha dovuto riconoscere come Opera Mini non sia un vero e proprio browser. Il nuovo accordo destinato agli sviluppatori che è stato preparato dai vertici della società di Steve Jobs, infatti, non consente l’impiego – sugli iPhone, così come sugli altri dispositivi mobili prodotti e commercializzati dall’azienda – di motori alternativi per la gestione di codice JavaScript e per il rendering delle pagine web.
I prodotti per la navigazione sul web dall’iPhone, sinora messi a disposizione, si sono limitati a “skin” per Apple Safari, software sviluppato e supportato dalla “società della mela”.
L’ok nei confronti di Opera Mini è arrivato, molto probabilmente, in forza del particolare comportamento tenuto del browser della software house norvegese. Le pagine web richieste dall’utente di Opera Mini vengono infatti prima elaborate dai server di Opera e compresse al massimo in modo da ridurre nettamente (sino al 90%) il quantitativo di dati scaricati attraverso la connessione “mobile”. Un approccio, questo, che tra l’altro fa risparmiare davvero molto a coloro che pagano la connessione dati (GPRS/EDGE/UMTS/HSDPA) con un profilo a consumo, in base al quantitativo di informazioni scambiate.
Proprio questa soluzione potrebbe aver indotto Apple ad esprimere parere favorevole ed a sancire così lo “sbarco” di Opera Mini sull’iPhone così come sugli iPod Touch.
Secondo Opera Software, il “browserino” Opera Mini – proprio grazie alla particolare soluzione tecnica impiegata – sarebbe in grado di visualizzare le pagine web addirittura sei volte più velocemente rispetto ad Apple Safari. Nel video sottostante, una breve presentazione realizzata da Opera Software.
Il “diniego” di Apple che, in passato, ha fatto più notizia è sicuramente la bocciatura di “Google Voice“. Il pollice verso del colosso di Jobs ha indotto i tecnici di Google, a fine gennaio scorso, ad “aggirare il divieto” ricorrendo ad un semplice espediente: la trasformazione di “Google Voice” da applicazione a servizio interamente fruibile via web (ved., in proposito, questa notizia).