È di questi giorni la notizia del blocco del dispiegamento delle nuove reti 5G voluto dal primo cittadino di un comune lucano: 5G: un comune italiano vieta il dispiegamento delle reti di nuova generazione e sono ormai ben note le proteste levatesi da alcuni comitati di cittadini oltre che, più di recente, dal Codacons.
Nel nostro articolo 5G pericoloso, tutte bufale o può esserci qualcosa di vero? abbiamo provato a fare il punto della situazione, lontano da inutili e controproducenti allarmismi.
L’Istituto superiore di sanità (ISS) ha pubblicato quest’oggi il suo studio sulle radiofrequenze e sui loro eventuali effetti sulla salute dell’uomo.
Pubblicato a questo indirizzo, il lavoro svolto da ISS – ente di diritto pubblico che, in qualità di organo tecnico-scientifico del Servizio sanitario nazionale in Italia, svolge funzioni di ricerca, sperimentazione, controllo, consulenza, documentazione e formazione in materia di salute pubblica – rappresenta un compendio di tutte le evidenze scientifiche disponibili.
Il rapporto ISTISAN 19/11 è stato curato da un gruppo multidisciplinare di esperti di diverse agenzie italiane (Susanna Lagorio, ISS; Laura Anglesio e Giovanni d’Amore, ARPA-Piemonte; Carmela Marino, ENEA; Maria Rosaria Scarfì, CNRIREA) e risponde in modo puntuale e aggiornato a tutti i quesiti sul tema delle eventuali correlazioni tra l’esposizione alle radiofrequenze, anche prolungata, e l’insorgenza di patologie tumorali.
Nel documento si osserva che la relazione tra l’uso del cellulare e l’incidenza di tumori nell’area della testa è stata analizzata in numerosi studi epidemiologici pubblicati nel periodo 1999-2017. La meta-analisi di questi studi non rileva alcun incremento del rischio di neoplasie maligne (glioma) o benigne (meningiomi, neuromi acustici, tumori dell’ipofisi o delle ghiandole salivari) in relazione all’uso prolungato (≥ 10 anni) del cellulare.
“I risultati relativi al glioma e al neuroma acustico sono eterogenei. Alcuni studi caso-controllo riportano notevoli incrementi di rischio anche per modeste durate e intensità cumulative d’uso. Queste osservazioni, tuttavia, non sono coerenti con l’andamento temporale dei tassi d’incidenza dei tumori cerebrali che non hanno risentito del rapido e notevole aumento della prevalenza di esposizione“, si afferma.
Nella relazione si osserva che “la validità dei risultati degli studi epidemiologici su cellulari e tumori rimane incerta” e che ulteriori studi sono semmai auspicabili per ciò che riguarda un eventuale sviluppo di tumori a più lenta crescita e per ciò che riguarda un’eventuale maggiore vulnerabilità dei bambini. Va però osservato che “le analisi più recenti dei trend d’incidenza dei tumori cerebrali coprono un periodo di quasi 30 anni dall’introduzione dei telefoni mobili“, a confermare che la finestra temporale oggetto di studio è già sufficientemente ampia per trarre le prime conclusioni. Comunque, “gli studi in corso (Cosmos, MobiKids, GERoNiMo) contribuiranno a chiarire le residue incertezze“, si legge ancora.
La IARC (Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro), come avevamo evidenziato nell’articolo 5G pericoloso, tutte bufale o può esserci qualcosa di vero?, nel 2011 aveva classificato le radiofrequenze nel gruppo 2B etichettandole come “possibili entità cancerogene”.
Per evitare interpretazioni scorrette, la IARC ha ritenuto utile ribadire che le radiofrequenze sono classificate nel gruppo 2B perché vi è un’evidenza tutt’altro che conclusiva che l’esposizione possa causare il cancro negli esseri umani o negli animali (vedere questo documento chiarificatore).
“Valutazioni successive concordano nel ritenere che le evidenze relative alla possibile associazione tra esposizione a RF e rischio di tumori si siano indebolite e non richiedano modifiche all’impostazione degli standard di protezione correnti“, mette nero su bianco l’ISS.
Anche l’OMS (Organizzazione mondiale della sanità) sta attualmente preparando un aggiornamento della valutazione di tutti i rischi per la salute da esposizione a radiofrequenze. In attesa di questa monografia, gli sviluppi della ricerca sono costantemente monitorati da panel nazionali e internazionali di esperti.
Gli esperti che hanno redatto il rapporto ISTISAN 19/11 hanno attentamente esaminato tutte le ricerche che sono state ad oggi svolte in materia di radiofrequenze concludendo che “i numerosi studi effettuati su diversi modelli animali, nell’insieme, non mostrano evidenza di effetti cancerogeni dell’esposizione a radiofrequenze“.
Come avevamo più volte sottolineato in altri nostri articoli, sia lo studio del National Toxicology Program (ha rilevato un incremento del rischio di tumori maligni delle guaine nervose nel cuore (schwannomi cardiaci) tra i ratti maschi alla dose più elevata ovvero 6 W/kg), sia lo studio dell’Istituto Ramazzini (è stato rilevato un aumento dell’incidenza dello stesso tumore nei ratti maschi con l’esposizione a radiofrequenze più elevata pari 50 V/m, equivalenti a 0,1 W/kg) si basano sull’utilizzo di livelli di esposizione molto più elevati di quelli rilevabili in ambiente nonché dei limiti stabiliti dalla normativa nazionale.
Inoltre, “per quanto riguarda gli studi sperimentali su sistemi biologici isolati, la maggioranza degli studi disponibili non evidenzia danni al DNA a seguito dell’esposizione a radiofrequenze“, si legge.
A questo indirizzo è possibile consultare il comunicato apparso quest’oggi sul sito dell’ISS.