Uno degli argomenti dei quali si parla più spesso in rete e che sono oggetto di accesi confronti tra gli utenti sono le IPTV.
Con il termine IPTV ci si riferisce alla trasmissione di segnali televisivi attraverso il protocollo TCP/IP. L’accesso ai contenuti può essere effettuato on demand oppure si possono ottenere flussi in streaming live.
Tutti i servizi di IPTV lanciati nel corso del tempo in Italia richiedevano l’utilizzo di apparecchiature (set-top box) messe a disposizione dai gestori del servizio (Tiscali, Infostrada, Fastweb, Telecom Italia) e sfruttavano un circuito dedicato (virtual circuit, VC) sulla rete ATM stabilito fino al dispositivo dell’abbonato.
Questi sistemi sono stati proposti commercialmente tra il 2008 e il 2016 ma sono stati tutti abbandonati visto lo scarso interesse della clientela.
Netflix, Premium Play, Infinity, TIMvision, Now TV sono invece sistemi diversi dall’IPTV perché non sono accessibili solo mediante set-top box ma anzi privilegiano l’impiego di qualunque dispositivo personale degli abbonati: desktop, notebook, smartphone, tablet,…
L’IPTV usava insomma tecnologie proprietarie mentre nel caso dei servizi di streaming odierni viene offerta massima compatibilità e interoperabilità.
Il termine IPTV, che in sé fa riferimento a un servizio assolutamente legale, fa correre la mente agli strumenti utilizzati per accedere via Internet ai contenuti dei network televisivi a pagamento (pay-tv) più famosi senza versare alcun canone di abbonamento e quindi senza averne alcun diritto.
La parola IPTV viene quindi utilizzata, a ben guardare in modo improprio, per indicare quei servizi che permettono di fruire illegalmente di contenuti multimediali soggetti a copyright senza l’autorizzazione dei detentori dei diritti.
Smart IPTV è una delle applicazioni più famose ed apprezzate: di per sé altro non è che un software installabile sui modelli di smart TV Samsung e LG più recenti e sui dispositivi Android TV e Amazon Fire TV. Essa permette di importare, elaborare e gestire liste di canali televisivi distribuiti in streaming via Internet facilitandone enormemente la visione e l’organizzazione.
Con Smart IPTV è possibile passare rapidamente da un canale all’altro usando lo smartphone o il telecomando del televisore.
Testimonianza del fatto che Smart IPTV sia un’app assolutamente legale è che la stessa è pubblicata negli store ufficiali di Samsung e LG accessibile dall’interfaccia del proprio smart TV. Sui device Android TV e Amazon Fire TV è invece installabile partendo dal pacchetto APK disponibile sul sito ufficiale.
Sono insomma le playlist a fare la differenza: l’utilizzo di liste di canali reperite (o addirittura illecitamente vendute) sulla rete che consentano di accedere ai canali televisivi delle pay-tv è sanzionabile penalmente e avviene sotto l’esclusiva responsabilità dell’utente.
Se infatti Smart IPTV o applicazioni similari sono legittime ed è generalmente accettato l’accesso in streaming via Internet di segnali televisivi appartenenti a network TV che trasmettono in chiaro (ad esempio le tante TV straniere), la normativa vigente non consente l’accesso a contenuti distribuiti attraverso sistemi di accesso condizionato senza il pagamento di un regolare abbonamento al detentore dei diritti.
Fino a qualche tempo fa chi guardava film o serie tv in streaming o poneva in essere download di contenuti audiovisivi per utilizzo personale e singolo non rischiava praticamente nulla. Massima attenzione era ed è tutt’oggi concentrata su coloro che distribuiscono i contenuti protetti dalle norme a tutela del diritto d’autore.
Il caricamento (upload) in rete di contenuti in violazione dell’altrui copyright era fino a poco tempo fa la discriminante ed era il comportamento di fatto unicamente sanzionato dai giudici.
La sentenza numero 46443/2017 della Corte di Cassazione ha cambiato tutto. I giudici hanno infatti condannato il fruitore di contenuti distribuiti illecitamente via Internet.
Nel caso di specie l’imputato, condannato in via definitiva a quattro mesi di reclusione e 2.000 euro di sanzione amministrativa, aveva utilizzato un sistema di card sharing previo acquisto dei codici di decodifica sul web.
La sentenza però pone una pesante pietra miliare stabilendo che è punibile penalmente non soltanto chi distribuisce i contenuti protetti dal diritto d’autore senza averne alcun titolo ma anche chi li utilizza, anche per scopi privati e soltanto all’interno della propria abitazione.
La Cassazione ha infatti inquadrato la condotta di specie nell’ambito dell’art.171-octies L. 633/1941 che punisce “con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da euro 2.582 a euro 25.822 chiunque a fini fraudolenti produce, pone in vendita, importa, promuove, installa, modifica, utilizza per uso pubblico e privato apparati o parti di apparati atti alla decodificazione di trasmissioni audiovisive ad accesso condizionato effettuate via etere, via satellite, via cavo, in forma sia analogica sia digitale. Si intendono ad accesso condizionato tutti i segnali audiovisivi trasmessi da emittenti italiane o estere in forma tale da rendere gli stessi visibili esclusivamente a gruppi chiusi di utenti selezionati dal soggetto che effettua l’emissione del segnale, indipendentemente dalla imposizione di un canone per la fruizione di tale servizio“.
Attenzione quindi: Smart TV è un’applicazione assolutamente legittima ma il caricamento e l’utilizzo di playlist M3U per l’accesso a contenuti di norma distribuiti attraverso canali TV visibili solo mediante strumenti ad accesso condizionato sono espressamente vietati e questo tipo di comportamento è divenuto oggetto di sanzioni particolarmente gravose.
Inutile dire che molti utenti stanno utilizzando Tor o servizi VPN stranieri per mascherare il proprio indirizzo IP reale durante l’impiego di liste IPTV illecite. È vero che questi strumenti rendono molto più difficoltoso, se non impossibile, risalire all’IP reale ma… ne vale davvero la pena? Tor contribuisce, com’è noto, a rallentare – di molto – la fruizione dei contenuti mentre le VPN spesso mantengono log che registrano le attività degli utenti. Di nuovo, vale veramente rischiare?