Non sarebbe stata l’israeliana Cellebrite, della quale tanto si è parlato nelle scorse settimane, ad aiutare l’FBI a sbloccare l’iPhone 5C appartenente ad uno dei terroristi responsabili dell’attentato nella città di San Bernardino (California), lo scorso dicembre.
Secondo il Washington Post sarebbe stato un gruppo di hacker indipendenti a farsi carico dell’operazione, peraltro proponendosi spontaneamente all’FBI.
I dettagli sono ancora molto scarsi, ma secondo le fonti cui fa riferimento il quotidiano d’Oltreoceano, il gruppo di ricercatori avrebbe sfruttato una vulnerabilità insita nel sistema operativo iOS di Apple, seppur aggiornato all’ultima versione, ed un dispositivo hardware esterno per l’invio allo smartphone dei PIN da provare in rapida successione.
Si sarebbe trattato quindi, così come più volte utilizzato, di un attacco brute-force, sferrato dopo aver neutralizzato quella funzionalità di sicurezza di Apple iOS che blocca temporaneamente il telefono dopo aver erroneamente digitato, per più volte, il PIN.
Nel gruppo di hacker protagonisti dello sblocco dell’iPhone 5C di Syed Rizwan Farook, tuttavia, non vi sarebbero solo soggetti “white hat” ma anche i cosiddetti “grey hat“, esperti che non sono criminali ma che comunque sono soliti vendere al migliore offerente i risultati delle loro scoperte in tema di sicurezza.
I dispositivi Apple più recenti dotato della Secure Enclave sarebbero comunque al riparo e non sarebbero sbloccabili usando la stessa metodologia sfruttata per l’iPhone 5C: FBI, lo sblocco dell’iPhone 5C non è universale.
James Comey, direttore dell’FBI, ha dichiarato di non considerare Apple come un'”azienda diabolica” perché è attiva nella difesa della privacy dei suoi clienti. Purtuttavia, il bilanciamento dei diritti per la tutela dei dati personali con il tema della sicurezza, sarebbe il problema più importante che lo stesso Comey ha incontrato durante l’intera sua carriera.