Il dibattito sull’uso delle tecnologie di riconoscimento facciale da parte dei governi e delle forze dell’ordine si sta facendo sempre più ampio e articolato.
Durante l’ultimo fine settimana, il New York Times ha pubblicato un articolo che accende un faro sulle attività svolte da un’azienda relativamente sconosciuta che offre servizi di riconoscimento facciale a circa 600 forze dell’ordine statunitensi, con un archivio di immagini ben catalogate che sarebbe oltre sette volte più grande rispetto al database utilizzato dagli agenti dell’FBI.
La società si chiama Clearview AI, è finanziata dall’imprenditore Peter Thiel ed è già in grado di confrontare le foto caricate con quelle presenti nel suo sconfinato database, composto ad oggi da circa tre miliardi di immagini.
L’enorme archivio sarebbe stato realizzato rastrellando le immagini da un vasto numero di siti web, tra cui Facebook, YouTube e Venmo. Le foto precedentemente rastrellate sono associate a nomi e cognomi con volti e identità che sono riconoscibili anche nel momento in cui si caricassero foto imperfette. Ad esempio quelle scattate da angolazioni particolare o sopra la testa (si pensi alle immagini provenienti dalle telecamere di sorveglianza).
Il sistema messo a punto da Clearview AI sarebbe già capace di effettuare il riconoscimento facciale di qualunque soggetto che si rivela poi corretto nel 75% dei casi.
Usato, come anticipato in apertura, dagli agenti USA, avrebbe già aiutato ad acciuffare diversi criminali. Ciò che desta non pochi punti interrogativi è che il sistema non è stato testato da nessun soggetto indipendente prima di essere messo a disposizione delle forze di polizia.
Come ha osservato Al Gidari, docente di diritto presso la Stanford Law School, il numero di società impegnate nell’offrire servizi simili a Clearview AI in continua crescita. “In assenza di una normativa chiara ed efficace, la privacy dei cittadini sarà sempre più a rischio“.