L’annosa vertenza legale tra Oracle e Google sul presunto utilizzo non autorizzato, da parte di quest’ultima, di codice protetto dalla normativa a tutela della proprietà intellettuale per realizzare il sistema operativo Android sembrava ormai “caduta nel dimenticatoio”.
La Corte d’Appello statunitense ha invece appena dato ragione a Oracle invitando i giudici della corte federale dello stato della California di fissare l’entità del risarcimento, che potrebbe trasferire miliardi di dollari dalle casse di Google a quelle di Oracle.
Riassumiamo la vicenda.
La battaglia tra Google e Oracle è iniziata nel 2010 quando l’azienda di Larry Ellison contestò alla società di Mountain View la presunta violazione di alcuni brevetti legati alla tecnologia Java (uno dei nostri articoli dell’epoca: Java: Google rigetta le accuse mosse da Oracle), linguaggio sviluppato negli anni ’90 dagli ingegneri di Sun Microsystems e successivamente acquisito – proprio nel 2010 – da Oracle.
Secondo l’accusa Google avrebbe copiato e indebitamente utilizzato porzioni del codice che regola il funzionamento della piattaforma Java in Dalvik, la virtual machine di Android capace di eseguire applicazioni Java, sostituita – a partire dalla versione 5.0 di Android dalla nuova runtime Art: Android diventa più veloce con il nuovo “motore” ART.
Google ha negato ogni addebito spiegando di aver sviluppato la macchina virtuale Dalvik senza utilizzare il pacchetto OpenJDK di Sun/Oracle: non è infatti possibile prendere un’applicazione Java ed eseguirla direttamente su Android perché essa deve necessariamente per una nuova compilazione ricorrendo appunto a Dalvik.
Nel 2012 i giudici stabilirono che Google non doveva nulla a Oracle (Solo parziale la vittoria ottenuta da Oracle contro Google) ma la società di Ellison presentò appello.
Nel 2016 il tribunale riesaminò la richiesta di Oracle stabilendo che l’utilizzo delle “API della discordia”, necessarie per portare il codice Java su Android, era da considerarsi ascrivibile al fair use. In altre parole, non era possibile penalizzare Google per un’implementazione “di base” del linguaggio Java nel suo sistema operativo, implementazione che d’altra parte favoriva anche l’interoperabilità del codice e il riutilizzo dello stesso da parte dei programmatori.
Oracle ha voluto proseguire la sua azione legale ottenendo quest’oggi la prima vera vittoria a distanza ormai di quasi otto anni: i giudici hanno accertato che Google si sarebbe spinta “un po’ troppo in là” utilizzando le API di Sun/Oracle di fatto violando la proprietà intellettuale altrui.
La tesi di Oracle è infatti che le sue API sono disponibili e utilizzabili a costo zero per tutti quegli sviluppatori che intendano realizzare applicazioni per PC e dispositivi mobili; l’azienda però non avrebbe mai autorizzato altre imprese a sfruttare tali API per realizzare una piattaforma concorrente o per integrarle direttamente in un dispositivo elettronico.
Oracle aveva chiesto 8,8 miliardi di dollari di risarcimento ma a questo punto potrebbe tentare di ottenere una cifra maggiore.
Secondo i giudici il fatto che Android sia un sistema operativo rilasciato di per sé come software libero non implicherebbe automaticamente l’utilizzo delle API Java a titolo non commerciale da parte di Google.
Nella decisione appena raggiunta, inoltre, i togati spiegano che Android ha generato più di 42 miliardi di dollari di ricavi da attività di advertising: pur non avendo Google alterato il codice soggetto a copyright, il sistema operativo è stato fattivamente usato per fare cassa.
A questo punto Google può comunque richiedere ai giudici di rivedere le loro posizioni portando eventualmente nuova documentazione sul caso. È comunque previsto un eventuale nuovo riesame in ultimo grado.