Negli Stati Uniti si torna a parlare del tema neutralità della rete. Tale espressione viene comunemente impiegata per fare riferimento ad un principio secondo cui la rete a banda larga deve essere priva di restrizioni arbitrarie applicate sui dispositivi ad essa collegati e sulle modalità con cui essi operano.
Il fornitore Internet non dovrebbe fare differenza alcuna tra i vari tipi di “contenuti” che transitano attraverso la sua rete né applicare discriminazioni su dati, mittenti e destinatari (la posizione di Tim Berners-Lee, “padre” del web, è chiarita nell’articolo Tim Berners-Lee parla di net neutrality e privacy).
Lo scenario, però, potrebbe essere destinato a cambiare dopo il pronunciamento dei giudici della corte d’appello del distretto della Columbia. I togati d’Oltreoceano hanno dato il via libera all’applicazione di diversi regimi tariffari da parte degli operatori, a seconda delle prestazioni garantite alla clientela. Ogni singolo provider Internet avrà quindi facoltà di ridurre le performance delle connessioni meno costose e di privilegiare, a sua discrezione, quegli utenti che hanno sottoscritto contratti più onerosi.
La decisione della corte ha immediatamente scatenato un vespaio di polemiche: la rete Internet, almeno negli USA, sembra destinata a diventare a due (o più) velocità con gli utenti più abbienti che saranno favoriti mentre la clientela con un minore potere di spesa risulterà pesantemente penalizzata.
Non solo. Quanto stabilito dalla corte distrettuale avrà evidenti conseguenze sulla possibilità di accedere ai contenuti video, considerati molto più impegnativi da veicolare per i fornitori di connettività.
Gli utenti, quindi, non saranno più posti sullo stesso piano e potranno vedersi penalizzati nell’accesso a determinate risorse online.
Le regole sin qui imposte dalla FCC (datate 2010) sono state dichiarate inapplicabili dalla corte distrettuale della Columbia riconoscendo la legittimità, per un provider, di limitare certe tipologie di traffico dati. A trarre vantaggio dalla decisione dei giudici saranno i grandi provider come Verizon e Time Warner che potranno fae la voce grossa con le realtà che distribuiscono contenuti multimediali in Rete: YouTube (Google) e Netflix in primis.
Il coltello viene consegnato, dalla parte del manico, ai provider che potrebbero bussare alla porta di tutte quelle società che generano traffico (si pensi soprattutto alla distribuzione di video e brani musicali in streaming) per chiedere una succosa contropartita economica. Qualora l’intesa non venisse raggiunta, il provider potrebbe arrogarsi il diritto di penalizzare il traffico dati altrui.
Inutile dire che se qualcosa di simile dovesse accadere anche in Europa sarebbero davvero dolori. “All bits are created equal“, verrebbe da ricordare.