Secondo le ultime statistiche di Netmarketshare, la quota di mercato appannaggio di Linux sarebbe pari al 2,1% in ambito desktop mentre Windows e macOS si pongono rispettivamente all’87,5% e al 10%.
Si tratta di un dato che non deve meravigliare: Linux è di gran lunga il sistema operativo più utilizzato in ambito server e probabilmente l’unico sui supercomputer. È adoperato, inoltre, nella quasi totalità dei dispositivi per il networking e l’Internet delle Cose (IoT) e poggiano sul suo kernel prodotti come Android, Chrome OS e lo stesso macOS è comunque derivato da UNIX/BSD.
Linus Torvalds, autore della prima versione del kernel Linux e coordinatore del progetto di sviluppo dello stesso, ha recentemente parlato del futuro del “pinguino” mettendo a fuoco, com’è suo solito, quelle che ritiene alcune gravi criticità.
In ambito Linux non esiste una singola entità che tracci la strada da percorrere in futuro: esistono decine di soluzioni differenti, sia in ambito server che sul versante desktop. Una libertà di scelta che è anche il bello di Linux.
D’altra parte, però, le rivalità non sono mancate e sono tutt’altro che infrequenti ancora oggi: Debian contro Red Hat contro Canonical; KDE contro Gnome contro Xfce; Flatpak contro Snap contro AppImage.
Torvalds, anche in una recente intervista, si è mostrato piuttosto critico rispetto a questo modo di fare arrivando a dire che gli utenti molto probabilmente tenderanno a guardare sempre più verso Chrome OS e Android anche per i sistemi desktop; non soltanto in ambito “mobile”.
Il padre di Linux ha insomma riconosciuto che sarebbe stato meglio avere un desktop standardizzato da condividere tra le varie distribuzioni pur ammettendo che negli ultimi tempi si sono comunque registrati importanti passi in avanti.
Flatpak e Snap, per esempio, consentono di installare e amministrare allo stesso modo le applicazioni su distribuzioni Linux completamente differenti ma Torvalds è infastidito dalle barricate che per esempio tendono a sollevare realtà come Red Hat e Canonical (la più schierata a favore di Flatpak; la seconda che supporta Snap).
Nessuna delle software house impegnate su Linux ha interesse a sviluppare un sistema desktop che possa fare davvero breccia sul mercato: Canonical, Red Hat, SUSE guardano infatti al mondo dei server, della containerizzazione, del cloud, dell’Internet delle Cose perché sono questi i segmenti più remunerativi. Lo sviluppo di piattaforme desktop basate su Linux non è considerata una priorità e buona parte del lavoro che presuppone lo sviluppo di progetti come Fedora, openSUSE e Ubuntu è svolto dalla comunità.
Lo stesso Clement “Clem” Lefebvre, numero uno del progetto Linux Mint ha manifestato un po’ di disagio in questo suo intervento parlando anche delle difficoltà e delle tensioni con le quali si trova quotidianamente a misurarsi.
Tornano quindi le parole di Torvalds che ormai sembra considerare la frammentazione di Linux un aspetto negativo: troppe distribuzioni diverse, troppi formati di pacchetti, troppe configurazioni.
Perché Linux in ambito desktop non resti un sistema operativo “di nicchia”, riservato solamente ai power user ci vorrebbe forse una “fondazione” che ne prenda in mano lo sviluppo e coordini attività comuni tra le varie distribuzioni.
Linux, comunque, non ha bisogno di “competere” perché “dove conta” il sistema operativo svolge già la parte del leone. Basti pensare che funge anche da “spina dorsale” per le principali piattaforme cloud e Microsoft stessa ha utilizzato Linux e opensource in generale per migliorare il business suo e dei suoi clienti: vedere Microsoft entra nella Linux Foundation, giornata storica e Microsoft entra nella Open Source Initiative come premium sponsor: altra giornata storica.
Provate a dare un’occhiata all’offerta della piattaforma Microsoft Azure in termini di macchine virtuali, servizi e applicazioni Linux e opensource: Marketplace di Azure: cos’è e cosa offre.