Il 19 aprile 1965 la rivista Electronics Magazine pubblicò un articolo a firma dell’imprenditore ed informatico statunitense Gordon Moore (classe 1929), co-fondatore di Intel, che ipotizzava come la complessità dei circuiti integrati sarebbe raddoppiata ogni anno con una proporzionale riduzione dei costi.
Le supposizioni di Gordon Moore si sono presto trasformate in quella che è conosciuta legge di Moore: negli anni successivi l’evoluzione dei processori ne ha sostanzialmente confermato la validità.
Ma cos’è la legge di Moore e perché alcuni ne hanno celebrato da tempo la fine mentre altri si affannano a riportarla in auge a quasi 60 anni dalla sua enunciazione? Perché se ne parla tanto quando si tratta di realizzare processori?
Cos’è la legge di Moore
Iniziamo con l’osservare che le leggi di Moore in realtà sono due. La prima legge di Moore è certamente la più nota: “la complessità di un microcircuito, misurata ad esempio tramite il numero di transistor per chip, raddoppia ogni 18 mesi (e quadruplica quindi ogni 3 anni)“.
In prima battuta, nel 1965, Moore parlò di un raddoppio delle prestazioni dei microprocessori ogni anno. A fine anni ’80, però, la sua tesi fu riformulata ed il raddoppio venne portato a 18 mesi.
Più che una vera e propria legge, comunque, quella di Moore è il frutto di una serie di osservazioni e considerazioni empiriche che nel corso del tempo sono state peraltro un po’ riviste per riflettere il reale andamento di crescita della densità dei transistor nei microprocessori.
L’andamento esponenziale descritto nella legge di Moore è comunque proseguito per tanti anni e lungo decenni ha creato immense opportunità per l’industria dei semiconduttori e dell’elettronica.
Anche la seconda legge di Moore è stata enunciata in modi differenti e ha condotto a varie interpretazioni. Tra le prime versioni si ricorda la seguente: “il costo delle apparecchiature per fabbricare semiconduttori raddoppia ogni quattro anni“.
La legge di Moore fu sostanzialmente seguita da tutte le aziende che operano nel mercato dei microprocessori: Intel e AMD in primis, ma anche dalle altre realtà. Il numero di transistor integrati nei microprocessori è cresciuto vertiginosamente nel corso degli anni seguendo proprio i dettami della legge di Moore.
I limiti della legge di Moore sono essenzialmente fisici nel senso che per inserire un numero maggiore di transistor in un processore, è ovviamente necessario ridurne le dimensioni. Al di sotto di una certa soglia, però, possono generarsi effetti “parassiti” indesiderati di natura quantistica.
Addirittura già con i processori Pentium si sarebbero raggiunti tali limiti, parzialmente superati però grazie all’integrazione della tecnologia multicore (accoppiamento in parallelo di più processori).
Eppure, i processi costruttivi sono stati portati all’estremo e l’unità di misura del nanometro, utilizzata per indicare la dimensione media del gate di ciascun transistor usato in un processore lascerà in futuro spazio all’angstrom.
Intel si sta attrezzando per lavorare con processi produttivi a 18-20 angstrom ovvero 1,8-2 nm.
La litografia ultravioletta estrema (EUV) è la “ricetta” che i produttori di chip meglio organizzati e capaci di investimenti economici poderosi stanno utilizzando.
Oltre alla miniaturizzazione dei processi costruttivi si sta lavorando anche sulla progettazione e sull’utilizzo di modelli di transistor sempre più evoluti.
I transistor tendono a svilupparsi sempre più in senso verticale con lo schema GAAFET a Nanosheet che impila gli strati come le pagine di un libro superando problemi nel processo litografico fino a quale anno fa insormontabili, soprattutto sul versante dei costi.
Eppure già nel 2016 Nature celebrava la fine della legge di Moore mentre oggi il CEO di Intel, Pat Gelsinger, non solo ha dichiarato che la legge è viva e vegeta ma anche che il ritmo di crescita seguito nei prossimi anni sarà ancora più sostenuto.
Secondo Gelsinger la legge di Moore resterà attuale grazie all’utilizzo della seconda generazione delle apparecchiature per la litografia ultravioletta estrema prodotte dalla olandese ASML: High-NA EUV.
Gli ingegneri Intel, racconta ancora Gelsinger, stanno lavorando su un nuovo modello di transistor chiamato RibbonFET oltre che su un packaging nettamente migliorato.
Moore aveva previsto un “giorno della resa dei conti” in cui non avrebbe avuto più senso realizzare chip da una singola grande fetta di silicio.
Così ai giorni nostri il packaging è divenuto importante quanto la stessa tecnologia di processo.
“Potrebbe rivelarsi più economico costruire sistemi di grandi dimensioni con funzioni più piccole, che sono integrate separatamente nel pacchetto e interconnesse“, aveva osservato il co-fondatore di Intel nel suo storico articolo.
Ecco, il packaging sembra proprio la chiave del successo. A capire prima di tutti la “strada giusta” è stata AMD che ha da tempo abbracciato il concetto di chiplet per i suoi processori. I traguardi che la società di Sunnyvale ha raggiunto in soli 5 anni con i suoi processori Ryzen e gli “apprezzamenti della critica” sono la testimonianza della giusta intuizione di Jim Keller e del suo team.
I chiplet sono circuiti integrati che contengono un sottoinsieme ben definito di funzionalità: permettono di utilizzare chip più piccoli per formare un circuito integrato più grande ovvero un multi-chip module (MCM). Ecco riconfermata la visione di Moore.
Intel, da parte sua, ha per il momento mantenuto la soluzione monolitica che ha storicamente utilizzato. I processori Intel Alder Lake e i nuovi Raptor Lake combinano un cluster di core ad elevate prestazioni con core a basso consumo energetico ma sono comunque basati su un design monolitico: nel prossimo futuro anche Intel virerà sullo schema a chiplet.
Attualmente Intel ha presentato due approcci: il primo si chiama EMIB (Embedded Multi-Die Interconnect Bridge) e consiste nell’interconnettere due chiplet fianco a fianco con un piccolo “ponte” di collegamento sottostante. Viene utilizzato in Ponte Vecchio e nei modelli di fascia alta dei processori per sistemi server Sapphire Rapids.
La seconda soluzione adottata da Intel si chiama Foveros 3D: più chiplet vengono combinati verticalmente. Il chip Meteor Lake, che sarà lanciato nel 2023, sarà costruito proprio con Foveros, con quattro chiplet arroccati su un altro substrato di silicio sottostante che fornisce i collegamenti di comunicazione.
Al polo diametralmente opposto si colloca NVidia con il co-fondatore Jen-Hsun Huang che da tempo indica la legge di Moore come ormai superata.
Già nel 2020 (e ancor prima…) egli parlava addirittura della legge di Huang auto-intestandosela e utilizzandola per rendere più palese l’enorme balzo in avanti fatto registrare in termini di potenza computazionale dalle GPU NVidia.
NVidia e il CEO Huang sostengono fermamente che i progressi nella tecnologia delle GPU hanno superato di gran lunga i tradizionali progressi della CPU. Secondo questa prospettiva, inquadrata appunto nella legge di Hung, laddove la legge di Moore non è più applicabile alle CPU, le prestazioni della GPU raddoppieranno più del doppio ogni due anni.
Huang ha affermato anche che “un wafer di silicio da 12 pollici è molto più costoso oggi che in precedenza. L’idea che il prezzo del chip diminuirà è una storia del passato“. Ad ogni modo, come già evidenziato, i “dettami” di Moore non vanno interpretati come una legge della fisica ma come una legge dell’economia che agisce anche in termini di “motivazione aziendale”. La potenza di elaborazione continua a raddoppiare in parte perché i consumatori si aspettano che continui a raddoppiare. E se NVidia non riesce a capire come tenere il passo con la legge di Moore ai giorni nostri non è comunque escluso che altri soggetti non possano riuscirvi.
Ci sono poi coloro che propongono una sorta di “rilettura” della legge di Moore. Secondo la tesi di molti, infatti, oggi si dovrebbe parlare prioritariamente di efficienza energetica dei processori, aspetto sul quale tutti i produttori si stanno ampiamente concentrando.
L’efficienza energetica è diventato oggi un parametro di fondamentale importanza in tutti i settori applicativi ed è proprio questo valore che mostra un raddoppio ogni 18 mesi come rilevato da Jonathan Koomey, ricercatore della Stanford University.
Tanti comunque contestano la natura cangiante con cui, ultimamente, si vuole dipingere la legge di Moore: trasformarla introducendo elementi non presenti nell’enunciato iniziale significa, di fatto, modificarla in qualche cosa di diverso che per tale motivo risulta inaccettabile.
Le immagini utilizzate per l’articolo sono fornite da Intel attraverso la sua “Newsroom”.