La legge di Moore è ormai superata e non può più essere seguita dall’industria dei microprocessori. Per la verità, la cosa era nota da tempo ma sinora nessuno aveva mai posto la parola “fine”.
Anzi, proprio di recente Intel aveva provato a riportare in auge la legge di Moore – anche a fini di marketing – legge che, per decenni, la società di Santa Clara aveva cavalcato e che oggi è ormai divenuta di difficilissima applicazione: Intel vuol continuare a seguire la legge di Moore.
In realtà, come più volte evidenziato, la legge di Moore non è una vera e propria “legge”. Si tratta più che altro di una sorta di “regola” enunciata a partire da un’osservazione empirica.
“Le prestazioni dei processori, e il numero di transistor ad esso relativo, raddoppiano ogni 18 mesi“, recita la prima legge di Moore.
L’industria dei microprocessori ha cercato, con il passare del tempo, di adeguarsi alla legge provando a rispettarla anno dopo anno.
Come abbiamo spiegato in occasione della celebrazione del cinquantesimo della legge di Moore (La legge di Moore compie 50 anni: che cos’è), tuttavia, la tecnologia basata sull’uso del silicio ha ormai raggiunto limiti fisici oltre i quali è pressoché impossibile spingersi.
– Nella foto, Gordon Moore (classe 1929). Cofondatore di Intel nel 1968.
La miniaturizzazione è portata così all’estremo che, come spiegato nell’articolo Futuri processori: velocità sacrificata per l’efficienza energetica, si sta ormai guardando a sostituti del silicio che permettano di superare la barriera dei 14 nm (ci si riferisce alla misura del gate di ogni singolo transistor).
L’elevatissima densità ha portato, nel campo dei microprocessori, ad affrontare importanti problemi sul versante della dissipazione del calore che, inevitabilmente, dovranno essere gestiti anche negli anni a venire.
Non è da ieri che seguire la legge di Moore si è dimostrato sempre più complicato. È all’incirca dal 2000 che sono iniziati i primi veri problemi ed allora il processo produttivo era pari a 90 nm.
Già a quel tempo, quando gli elettroni iniziavano a spostarsi troppo rapidamente in circuiti di silicio che stavano divenendo sempre più piccoli, il calore divenne un ostacolo cruciale.
Ed è la rivista Nature che, in un articolo appena pubblicato, ripercorre le ultime tappe del viaggio compiuto dalla legge di Moore, dai primi anni 2000 fino ai giorni nostri.
Se fino ad oggi, è stato possibile seguire la legge fermando la crescita delle frequenze di clock dei microprocessori (non salgono più o meno dal 2004) e lavorando su più core spostando così i carichi di lavoro e distribuendo la loro gestione, continuando di questo passo – spiega Nature – quindi proseguendo sul solco della miniaturizzazione ossessiva, si presenteranno inevitabili effetti quantistici indesiderati.
La rivista Nature, insomma, ben evidenzia come la legge di Moore sia ormai morta e sepolta.
L’industria sta provando a tutti i costi a tenerla in vita cambiando materiali, architettura o pensando alla realizzazione di computer quantistici ma, a ben vedere, ciò che si sta tentando di fare è introdurre elementi non presenti nell’enunciato iniziale modificando la legge di Moore in qualcosa di molto diverso.
Oltre la legge di Moore
Nature continua con un excursus sulle soluzioni che l’industria sta proponendo per gli anni a venire.
Vengono citati i computer quantistici che (vedere anche Google presenta i risultati del suo computer quantistico) promettono performance ineguagliabili su certe tipologie di elaborazioni sfruttando i concetti propri della meccanica quantistica; il computing neuromorfico che mira a replicare le elaborazioni cerebrali.
Si parla anche di nuovi materiali per una parziale o futura totale sostituzione del silicio nella realizzazione dei microprocessori.
Tali nuovi materiali, però, debbono essere performanti come il silicio ma, allo stesso tempo, portare alla produzione di meno calore.
I candidati sono molti: si parte da composti 2D simili al grafene per arrivare a materiali spintronici il cui comportamento consente di implementare codici binari lavorando sullo spin degli elettroni piuttosto che sul loro spostamento.
Gli sforzi sono poi concentrati anche sul cambio di architettura.
Una possibile soluzione per la creazione dei nuovi processori consiste nell’utilizzo di architetture 3D, simili a quelle usate nei chip di memoria. Il problema, anche in questo caso, è che un'”impalcatura” che si sviluppa verticalmente produce calore e se nelle memorie è assolutamente gestibile, nei processori il problema si fa serio.
Un’idea, portata avanti anche in ambito accademico presso la Stanford University (California), potrebbe essere questa di rivedere la struttura del chip integrando memoria e processore. Così facendo, si ridurrebbe molto del calore prodotto durante il continuo scambio di dati fra di essi, con evidenti benefici.
L’utilizzo dei nanotubi di carbonio, sui quali IBM, Samsung e Globalfoundries stanno puntando molto (IBM punta sui nanotubi di carbonio per i nuovi processori), poi, consentirà di realizzare transistor di dimensioni più ridotte, impilabili, con un consumo energetico estremamente ridotto rispetto agli “standard” attuali.
Ad ogni modo, nel prossimo futuro – come peraltro già preconizzato da Intel (Futuri processori: velocità sacrificata per l’efficienza energetica) le prestazioni dovrebbero tendere a stabilizzarsi mentre sarà data massima priorità, in ottica “mobile”, alla questione del risparmio energetico che impatta direttamente sull’autonomia garantita dai dispositivi.
– Fonte: Nature.