I giudici della Corte di Giustizia hanno stabilito che alcuni aspetti della legislazione italiana in materia di equo compenso sono contrari al diritto dell’Unione Europea.
La “gabella” che tutti i produttori di supporti per la memorizzazione dei dati (non solo, quindi, CD e DVD ma anche chiavette USB, hard disk, tablet e smartphone) sono costretti oggi a pagare alla SIAE (Società Italiana degli Autori ed Editori) – importo che, in ultima analisi, viene scaricato sui consumatori – viene adesso posta in seria discussione.
I giudici hanno rilevato che l’equo compenso a fronte dell’eventuale utilizzo per la realizzazione di copie private, viene oggi versato anche da coloro che fanno un uso esclusivamente professionale degli strumenti per la memorizzazione dei dati.
Per queste tipologie di acquirenti dovrebbe quindi essere prevista una esenzione che, invece, allo stato attuale, non è affatto prevista.
In secondo luogo, viene osservato che la SIAE è di fatto l’unica beneficiaria della riscossione dell’equo compenso. Non esiste concorrenza e la SIAE può disporre liberamente della gestione delle esenzioni portando, potenzialmente, a trattamenti difformi nel caso dei vari soggetti.
Infine, la normativa italiana non chiarisce, in maniera chiara, quali sono le modalità per accedere ad eventuali rimborsi.
La Corte di Giustizia ha quindi dato ragione a Nokia, HP, Telecom Italia, Samsung, Dell, Fastweb, Sony e Wind che avevano avviato una vertenza contro l’equo compenso (vedere Equo compenso, ecco i rincari che valgono solo per l’Italia e Consiglio di Stato: l’equo compenso è legittimo).
A questo punto, nelle prossime settimane, Ministero e SIAE dovranno intervenire sulla normativa modificando tutti i punti oggetto di contestazione. E non è escluso che la SIAE sia chiamata a erogare risarcimenti.
#copiaprivata Catania:riconosciute le ragioni dell'industria Ict, regole italiane illegittime.https://t.co/bhn2y09ufJ
— ConfDigitale (@ConfDigitale) 22 settembre 2016