Il team di Google Brain, formato da tecnici che si occupano di machine learning e intelligenza artificiale, ha comunicato di aver raggiunto un traguardo di tutto rispetto.
Utilizzando il lavoro già svolto, in passato, da DeepMind – società che Google ha acquisito nel 2014 – l’azienda di Mountain View è riuscita ad addestrare la sua intelligenza artificiale rendendola in grado di battere i campioni di Go, gioco estremamente popolare in estremo-oriente (L’intelligenza artificiale di Google batte i campioni di Go) mettendo successivamente al servizio della ricerca in campo medico le abilità della piattaforma (Google DeepMind al servizio della ricerca medica).
Sempre affidandosi al chip TPU (Tensor Processing Unit) sviluppato da Google (vedere Google spinge sul machine learning con il chip TPU), è stato possibile mettere a punto tre reti neurali che simulassero i comportamenti di tre soggetti, l’uno distinto dall’altro: Alice, Bob e Eve.
Ogni singolo “sistema” è stato addestrato per provare a compiere la sua “missione”: il compito di Alice era quello di inviare a Bob un messaggio senza che Eve potesse leggerlo. A Bob, invece, spettava il lavoro di decodifica del messaggio trasmessogli da Alice. Ad Eve, invece, sono stati fornite le indicazioni per provare a impossessarsi degli altrui messaggi.
I tecnici hanno quindi assistito ai ripetuti tentativi delle reti neurali Alice e Bob di scambiarsi messaggi senza renderli leggibili da Eve.
Dopo una serie di tentativi piuttosto puerili, Alice ha iniziato ad abbozzare l’utilizzo di una strategia crittografica mentre Bob si è attivata per imparare a decodificare correttamente il messaggio.
Superati i 15.000 tentativi, Bob è stato in grado di decifrare il messaggio cifrato da Alice mentre Eve è stato in grado di risalire solo a 8 dei 16 bit componenti il testo trasmesso.
È bene precisare, sebbene Google non scenda nei dettagli, che il metodo crittografico “ideato” dalle reti neurali è davvero basico e verrebbe scardinato in pochissimo tempo da parte di un esperto in carne e ossa. Ciò che è rilevante, però, è che per l’esperimento il sistema non è stato “reso edotto” di qualsivoglia schema crittografico esistente: le reti neurali hanno lavorato in autonomia partorendo un meccanismo efficace, nel contesto, per proteggere un semplice messaggio di 16 bit.