Tra le domande più ricorrenti vi sono indubbiamente quelle relative alla presunta pericolosità delle reti Wi-Fi attive sul posto di lavoro oppure a casa. Quanto il Wi-Fi è pericoloso per la salute e davvero ci sono rischi nell’utilizzare connessioni senza fili?
Ultimamente il Wi-Fi è sempre più bersaglio di campagne di comunicazione piuttosto scorrette. Troppo spesso, infatti, si punta il dito contro le connessioni Wi-Fi facendo intendere che il loro utilizzo possa essere dannoso per la salute.
A fine 2013, come già accaduto in passato, si è addirittura diffusa in Rete (rilanciata poi anche da alcune agenzie di stampa, da testate nazionali molto famose e dagli altri media) una notizia dai toni allarmistici con cui si presentava un presunto studio elaborato in seno all’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). In tutti gli articoli si faceva riferimento ai drammatici risultati cui sarebbero pervenuti i responsabili della ricerca: l’esposizione alle onde prodotte da un normale access point Wi-Fi potrebbe non solo avere serie conseguenze sulla salute ma anche provocare problemi alle donne in stato di gravidanza. Nulla di più falso.
La “bufala” (vedere l’analisi di Paolo Attivissimo) è stata tempestivamente “smascherata” e segnalata anche se, purtroppo, le preoccupazioni destate da tale notizia (ancora visibilissima in Rete) non sembrano essere state superate.
È invece proprio l’OMS ad affermare come non vi siano evidenze scientifiche di possibili danni alla salute in seguito all’esposizione a campi elettromagnetici a radiofrequenza generati da sistemi di comunicazione Wi-Fi. Come rileva anche l’Istituto Superiore di Sanità, i livelli di esposizione (si pensi ad esempio ai comuni router od access point Wi-Fi installati in ufficio o a casa) sono poi molto inferiori ai limiti di esposizione raccomandati a livello internazionale e a quelli in vigore in Italia.
Per capire realmente se il Wi-Fi sia pericoloso per la salute è necessario prendere in considerazione alcuni fenomeni fisici che sono alla base dello standard IEEE 802.11 (Wi-Fi) e di tecnologie di comunicazione similari.
I dati inviati e ricevuti via Wi-Fi, così come accade con le altre tecnologie WLAN, si propagano attraverso onde elettromagnetiche. Queste provocano la variazione del campo elettrico e del campo magnetico nella zona circostante l’antenna.
Uno degli aspetti più importanti è quello relativo all’intensità dei campi elettromagnetici e quindi al tema delle potenze in gioco.
Il segnale emesso da un router Wi-Fi o da una scheda wireless installata in un personal computer è tipicamente dell’ordine dei 100 milliwatt, ben al di sotto della soglia considerabile come potenzialmente pericolosa.
Basti pensare che un forno a microonde irradia una potenza di circa 1.000 watt che comunque, grazie alle norme costruttive in vigore, confinano la quasi totalità della radiazione nel vano interno.
Un router Wi-Fi, inoltre, utilizza basse tensioni, trasmette in tutte le direzioni e su distanze relativamente lunghe.
Dal momento che le onde radio seguono la legge dell’inverso del quadrato (come la luce, il suono e la gravità), ogni volta che si raddoppia la distanza dalla fonte emissiva, si riceve solamente un quarto dell’energia “prodotta”.
Ciò significa che se “vicino” al router Wi-Fi l’assorbimento possa essere pari ad appena 0,1 Watt, a distanza di due metri si assorbiranno appena 0,025 Watt e così via.
In altre parole, la potenza del segnale Wi-Fi decresce molto rapidamente mano a mano che ci si allontana dal router o dall’access point.
Alle normale distanze “operative”, quindi, l’intensità del segnale Wi-Fi è talmente bassa da non esser fonte di alcuna preoccupazione. Il segnale wireless viene insomma a far parte di quel normale inquinamento elettromagnetico di fondo che è generato, ad esempio, dai segnali radio e TV.
La lunghezza d’onda dei segnali Wi-Fi (pari a 12 cm) è la stessa che caratterizza la radiazione cosmica di fondo: si ha forse paura di uscire di casa?
Wi-Fi e frequenza del segnale
In fisica lo spettro elettromagnetico riassume l’insieme di tutte le possibili frequenze delle radiazioni elettromagnetiche. Le varie frequenze sono suddivise in bande e lo spettro ottico indica quelle radiazioni che sono visibili all’occhio umano.
Oltre i limiti inferiore e superiore dello spettro ottico, vi sono bande di frequenze non percepibili dall’occhio umano con cui però ci troviamo ad interagire ogni giorno.
Si parte dai segnali radio con lunghezza d’onda più ampia (dell’ordine dei metri) per poi passare alle microonde, all’infrarosso, allo spettro visibile, fino all’ultravioletto, ai raggi X ed ai raggi gamma (lunghezza d’onda infinitesimale, dell’ordine dei picometri e frequenza invece elevatissima; immagine Wikipedia).
Le radiazioni caratterizzate da una lunghezza d’onda molto contenuta sono le più pericolose e sono dette ionizzanti (si pensi all’ultravioletto, ai raggi X e ai raggi gamma).
Tali radiazioni, infatti, trasportano sufficiente energia per ionizzare atomi o molecole (ovvero, in fisica, per rimuovere completamente un elettrone da un atomo o molecola).
Si pensi alle protezioni il cui utilizzo viene puntualmente caldeggiato da medici ed esperti quando ci si espone al sole per lunghi periodi (raggi ultravioletti, UV) ed alle attenzioni che i tecnici di radiologia ripongono ogniqualvolta un paziente debba effettuare una radiografia.
I router Wi-Fi trasmettono informazioni utilizzando radiazioni non ionizzanti: ciò significa che la lunghezza d’onda è inferiore a quella della luce (spettro ottico, visibile) ed, in questi casi, non vi sono rischi di alterazione delle molecole.
Un’analoga osservazione può essere quindi fatta non soltanto per le microonde (caso del Wi-Fi) ma anche per l’infrarosso e le onde radio.
Per quanto sin qui illustrato, allo stato attuale l’utilizzo di connessioni Wi-Fi non sembra poter avere alcuna conseguenza negativa sulla salute.
Precauzioni maggiori dovrebbero essere poste in esse, piuttosto, sull’utilizzo dei telefoni cellulari, soprattutto in considerazione del fatto che – normalmente – si tratta di oggetti che vengono mantenuti per lungo tempo a contatto con la testa e quindi a brevissima distanza da un organo vitale qual è il cervello.
Basti pensare che la “dose” di radiazioni assorbita dal corpo umano durante una chiamata di 20 minuti è pari a quella che si assorbirebbe in un intero anno ponendosi in un’area coperta da una rete Wi-Fi (vedere questa pagina). Le radiazioni complessivamente emesse da venti notebook con Wi-Fi attivato e due router wireless possono essere paragonate, più o meno, a quelle propagate da un unico telefono cellulare.
Un router Wi-Fi non è mai posto troppo vicino al corpo e spesso, addirittura, si trova in un altro locale (basti ricordare la legge dell’inverso del quadrato e tenere in considerazione il fatto che, ad esempio, le pareti riducono di molto la potenza del segnale).
A scopo meramente precauzionale, può essere ragionevole non sedersi a meno di un metro di distanza dal router Wi-Fi e non tenere, ad esempio, il portatile appoggiato sulle gambe mentre lo si utilizza.
In definitiva, allo stato attuale, non vi sono motivi per ritenere che le connessioni Wi-Fi possano avere un impatto negativo sulla salute. I router Wi-Fi, le schede wireless, le antenne Wi-Fi installate negli smartphone e nei tablet, come precedentemente evidenziato, emettono radiazioni non ionizzanti: non modificano cioè la struttura delle molecole né tanto meno alterano cellule e DNA ma interagiscono con i tessuti umani solamente attraverso la generazione di calore.
Se le radiazioni non ionizzanti emesse dai telefoni cellulari possano produrre qualche effetto su un sistema biologico, è assai difficile estendere la medesima osservazione alle connessioni Wi-Fi.
È pur vero che se la temperatura del corpo umano dovesse innalzarsi eccessivamente si andrebbe incontro a rischi per la salute. È però altrettanto vero che le “dosi” di radiazioni elettromagnetiche alle quali il corpo è esposto sono talmente contenute che il loro effetto è praticamente nullo (vedere, a tal proposito, questo documento in italiano elaborato dall’OMS).
Ad un’intensità bassa, insomma, le onde elettromagnetiche non ionizzanti non rappresentano alcun pericolo perché ingenerano troppo poco calore per scaldare in modo significativo un tessuto. Aumentando l’intensità posso aumentare i danni da surriscaldamento ma quelli dovuti alla ionizzazione rimangono sempre assenti nel caso di radiazioni non ionizzanti come quelle di un cellulare, di un router Wi-Fi o di un’antenna WLAN.
Ogni volta che si accende il forno a microonde la connessione Wi-Fi cessa di funzionare?
La spiegazione è molto semplice ed ha a che fare con le frequenze di funzionamento di forni a microonde, router e schede Wi-Fi. IEEE 802.11 b/g/n, infatti, tipicamente opera sulla banda di frequenza pari a 2,4 Ghz. I forni a microonde utilizzano bande di frequenza molto vicine.
Se il forno non fosse adeguatamente schermato è possibile che le radiazioni elettromagnetiche emesse possano interferire negativamente con il collegamento Wi-Fi in uso provocandone l’immediato malfunzionamento.
In questi casi il problema è da imputarsi ad uno scorretto montaggio oppure al danneggiamento della maglia fine (rete metallica) che avvolge internamente il forno. Anche in caso di fuoriuscita delle microonde (posta comunque la necessità di provvedere ad una riparazione dell’elettrodomestico), lo ricordiamo, trattandosi di radiazione non ionizzante è praticamente impossibile ipotizzare pericoli per la salute.
Per maggiori informazioni, suggeriamo la lettura del nostro articolo Che differenza c’è tra WiFi 2,4 GHz e 5 GHz?.