La vertenza tra Oracle e Google che aveva visto ottenere una prima parziale vittoria alla società di Larry Ellison nel corso dell’ultima udienza (vi suggeriamo la lettura di questo nostro articolo) potrebbe essere già arrivata alla fine. La giuria chiamata ad esprimersi sulla vicenda, ha stabilito che Google non ha violato alcun brevetto di proprietà di Oracle. Il verdetto, questa volta, sancisce la vittoria totale da parte del colosso di Mountain View che vede così il sistema operativo Android scagionato da qualunque accusa di plagio.
La battaglia legale potrebbe continuare sullo spinoso tema che riguarda la possibilità di tutelare, attraverso le norme sul copyright, le singole API di programmazione utilizzate nei vari pacchetti software. Il giudice William Alsup non si è infatti ancora espresso sul punto ma se la corte dovesse arrivare alle conclusioni alle quali si è recentemente pervenuti in ambito europeo (ved. questo articolo) il successo di Google sarebbe senza confini.
Se, viceversa, il giudice stabilisse che anche le API possono essere protette dalle disposizioni a tutela del copyright, potrebbe prendere il via un nuovo processo oppure iniziare ad essere presa in considerazione del “fair use” ossia di quelle clausole della legge sul diritto d’autore vigente negli USA che consentono il riutilizzo del materiale altrui sotto alcune condizioni.
Per il momento Oracle deve però prendere atto di una pesante sconfitta che non le lascia in mano praticamente nulla a fronte della richiesta di danni da 2,6 miliardi di dollari che aveva inizialmente presentato. I legali dell’azienda di Ellison non sono infatti riusciti a provare le violazioni che sarebbero state commesse dai responsabili di Google durante lo sviluppo della macchina virtuale Dalvik, capace di gestire codice Java in Android. Ciò si evince sin dalla prima pagina della sentenza pubblicata online in queste ore: accanto a ciascuna delle contestazioni mosse da Oracle c’è, in bella vista, l’indicazione “non provato“.