La battaglia legale tra Oracle e Google era ormai divenuta più che decennale: era infatti il 2010 quando l’azienda di Larry Ellison contestò alla società di Mountain View il presunto utilizzo indebito del codice alla base del funzionamento della piattaforma Java per lo sviluppo della macchina virtuale Dalvik, utilizzata fino ad alcuni anni fa per il caricamento e l’esecuzione delle app Android.
Dopo la vittoria che ottenne Oracle nel 2018 Google ha voluto portato la vicenda fino alla Corte Suprema degli Stati Uniti convinta di non dovere nulla alla controparte, tanto meno gli 8,8 miliardi di dollari richiesti.
Nel’articolo Per i giudici Google ha violato la proprietà intellettuale Oracle per sviluppare Android ripercorremmo l’intera lunghissima vicenda giudiziaria che si chiude oggi con una sentenza definitiva a favore di Google.
Le disposizioni USA che regolano il principio del fair use stabiliscono in quali circostanze un soggetto ha titolo per utilizzare materiale protetto da copyright senza chiedere una preventiva autorizzazione scritta a chi detiene i diritti.
I giudici della Corte Suprema hanno rilevato che Google si è attenuta al concetto di fair use riutilizzando alcune righe di codice alla base del funzionamento di Java per sviluppare Dalvik.
Negli Stati Uniti il riutilizzo del codice altrui è ammesso ad esempio per spingere sull’interoperabilità dei software facendo dialogare e rendendo compatibili piattaforme che diversamente non potrebbero esserlo.
Google ha esultato per l’esito della vertenza mentre Oracle, costretta a incassare il colpo, ha fatto riferimento al comportamento da vera monopolista che la società di Mountain View avrebbe deciso di mantenere per anni e anni. Un atteggiamento che, sempre secondo Oracle, è infatti alla base delle verifiche l’Antitrust sta conducendo.