Nel diritto europeo non esiste un “diritto all’oblio” generalizzato: nessun individuo può pretendere la rimozione di un contenuto pubblicato su un motore di ricerca o su un qualsiasi sito web solo perché ritenuto pregiudizievole o contrario ai propri interessi, aveva più volte osservato l’Avvocato Generale della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (Diritto all’oblio: nessun obbligo di rimozione dei contenuti?).
Con una decisione destinata a costituire una vera e propria pietra miliare, i giudici della Corte di Giustizia si sono espressi in maniera differente ponendo alcuni obblighi in capo ai gestori dei motori di ricerca. Questi dovranno attivarsi per rispondere alle richieste di coloro che non desiderano che informazioni sulla propria persona siano reperibili attraverso una query sul motore di ricerca. Nel testo della sentenza si legge infatti: “(…) il gestore di un motore di ricerca è obbligato a sopprimere, dall’elenco di risultati che appare a seguito di una ricerca effettuata a partire dal nome di una persona, i link verso pagine web pubblicate da terzi e contenenti informazioni relative a questa persona, anche nel caso in cui tale nome o tali informazioni non vengano previamente o simultaneamente cancellati dalle pagine web di cui trattasi, e ciò eventualmente anche quando la loro pubblicazione su tali pagine web sia di per sé lecita“.
La decisione dei giudici lussemburghesi apre quindi, di fatto, al diritto all’oblio andando ad imporre degli obblighi non tanto su coloro che hanno pubblicato un contenuto riguardo ad un certo individuo ma sugli strumenti che consentono di individuarlo (motori di ricerca).
Nel caso specifico, un cittadino spagnolo – Mario Costeja González – aveva presentato una denuncia chiedendo la rimozione di alcune pagine pubblicate su un quotidiano online nelle quali si faceva riferimento al pignoramento effettuato nei suoi confronti per la riscossione coattiva di crediti previdenziali.
Dal momento che la vertenza si era poi risolta, González ha ritenuto gli articoli lesivi della propria dignità e ne ha richiesto l’eliminazione. Dal momento che giornalista ed editore avevano pubblicato l’articolo attenendosi ai fatti e divulgando informazioni che, al momento della stesura del pezzo, corrispondevano al vero, la richiesta di González fu respinta.
Google, invece, è stata egualmente ritenuta responsabile del trattamento dei dati, nonostante le informazioni fossero state pubblicate sui siti web di terzi. Paradossalmente, quindi, il motore di ricerca viene chiamato ad attivarsi per l’eliminazione – dai risultati delle ricerche – dei link sgraditi alla persona che presenta richiesta di rimozione.
La Corte di Giustizia europea ha comunque precisato che deve comunque essere osservato il giusto equilibrio tra l’interesse del pubblico a ricevere informazioni ed i diritti fondamentali della persona (diritto al rispetto della vita privata e diritto alla protezione dei dati personali).
“È un’autentica rivoluzione rispetto a quanto accade oggi” scrive l’avvocato Guido Scorza, uno dei più autorevoli esperti di diritto informatico e di tematiche connesse alla libertà di espressione ed alle politiche di innovazione, sul suo blog. “Giudici ed Autorità Garanti di mezza Europa – eccezion fatta per l’Agenzia spagnola per la tutela dei dati personali dal cui provvedimento ha avuto origine la sentenza della Corte di Giustizia – infatti, erano, ormai giunte alla conclusione più o meno condivisa che il diritto all’oblio si tutelasse ordinando ai gestori delle pagine web di adottare gli accorgimenti tecnici necessari a “sganciare” determinati contenuti dall’indicizzazione dei motori di ricerca o, addirittura, semplicemente, ordinando di integrare le notizie del passato – ad esempio l’arresto di qualcuno – con eventuali aggiornamenti successivi – ovvero la sua assoluzione -. Ora si cambia“, aggiunge Scorza.
L’avvocato esprime anche forti dubbio sugli scenari futuri: i motori di ricerca saranno costretti a valutare un numero sempre maggiore di richieste di rimozione (per il momento l’attenzione era incentrata pressoché esclusivamente sulle questioni legate alla tutela del copyright) e, da quanto emerso dalla sentenza appena pubblicata, svolgeranno il ruolo di veri e propri “arbitri” decidendo quali richieste meritino una risposta immediata e quali invece no (in questo secondo caso decideranno poi, eventualmente, i giudici).