Google Chrome rivede il funzionamento della cache per migliorare la privacy

La cache di Chrome viene "partizionata": le pagine web non potranno più accedere agli elementi precedentemente memorizzati in locale dopo la visita di altri siti.

Con il rilascio di Chrome 86 dei giorni scorsi (Le novità di Chrome 86 si concentrano su sicurezza e performance), Google ha presentato quella che viene definita come un’ulteriore importante novità.

Il browser web (non soltanto quello di Google ma anche tutti i prodotti concorrenti) usano un meccanismo di caching utile per evitare il successivo (superfluo) download di risorse già precedentemente scaricate.
L’obiettivo è evidentemente quello di velocizzare di caricamento di qualunque pagina web evitando un nuovo download di risorse già memorizzate in precedenza nella cache locale.

Il sistema di caching del browser salva in locale una risorsa, ad esempio un’immagine, insieme con il suo URL completo in modo da identificarla univocamente per gli eventuali successivi utilizzi. Ogni pagine web che richiederà la stessa risorsa, in maniera diretta o – ad esempio – all’interno di una tag iframe, potrà beneficiare della presenza dello stesso elemento in cache.

Un meccanismo quindi che da un lato contribuisce a velocizzare il caricamento delle pagine web ma che, come ricorda Google, potrebbe rappresentare un problema in termini di privacy: verificando l’eventuale presenza di un elemento nella cache del browser dell’utente, infatti, qualunque pagina web può verificare se uno specifico sito web sia stato visitato o meno in passato.

Google ha annunciato l’integrazione di una novità in Chrome 86 e versioni successive: i dati conservati in cache conterranno anche l’indicazione del sito e dell’iframe che hanno richiesto l’elemento provocando quindi un download a sé (cache miss) da parte di pagine web appartenenti e gestite da altri soggetti. Si tratta di un approccio volto a “partizionare” la cache e venire incontro alle sempre più pressanti richieste in materia di tutela della privacy degli utenti.

Dall’azienda di Mountain View si fa presente che, esaminando i dati sin qui raccolti, la modifica non rappresenterà un problema, neppure in termini del traffico addizionale che verrà a generarsi. Secondo Google il cache miss aumenterà del 3,6% ma il valore FCP (First Contentful Paint) che misura il tempo richiesto per la generazione del primo elemento che compone la pagina web crescerà soltanto dello 0,3%. Il traffico di rete, con il download di una manciata di byte aggiuntivi, aumenterà invece del 4%.

Apple sta già utilizzando un meccanismo simile per la gestione della cache nel suo browser Safari mentre Mozilla ha in programma di implementarlo a breve in Firefox.

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