La proposta di accordo tra Google e gli editori statunitensi è stata bocciata. Il giudice Denny Chin, che da tempo segue il caso (ved. questi nostri articoli) ha sentenziato: “la domanda è se l’intesa sottoposta ad esame sia giusta, adeguata e ragionevole. La mia conclusione è che non lo sia“. La decisione di Chin è così destinata a rivoluzionare completamente il quadro relativo alla digitalizzazione di pubblicazioni cartacee della quale Google si è fatta da tempo promotrice con il servizio “Books“.
Secondo il giudice Chin, “sebbene la digitalizzazione dei libri e la realizzazione di una libreria digitale universale porti indubbiamente benefici per tutti“, l’accordo tra Google ed autori si spingerebbe troppo avanti. L’intesa, così come formulata, “garantirebbe a Google ampi diritti su libri interi, senza l’autorizzazione dei detentori del copyright. Con un significativo vantaggi sui concorrenti“.
Il patto fra il colosso di Mountain View e gli editori USA era già stato oggetto di una prima revisione: dopo la seconda bocciatura, Chin ha spiegato che l’accordo sarebbe più accettabile, da un punto di vista legale, se migrasse verso un approccio di tipo “opt in“. In pratica, non dovrebbero essere gli autori delle pubblicazioni a richiedere l’esclusione dei propri contenuti dal servizio Google Books bensì dovrebbero essere loro stessi, in primis, ad accordare una specifica approvazione.
L’accordo di patteggiamento raggiunto nel mese di ottobre 2008 tra Google gli editori USA affonda le sue radici in un’azione legale intentata nel 2005 da parte delle associazioni degli autori, dei “publisher” e di altre organizzazioni che difendono i diritti di scrittori e produttori. Secondo quanto stabilito tra le parti, Google avrebbe avuto il diritto di effettuare liberamente una scansione di quei testi che sono sì coperti da copyright ma che non vengono più stampati. Il colosso di Mountain View si sarebbe poi impegnato ad istituire uno speciale registro recante l’elenco dei libri oggetto di digitalizzazione e notificare agli autori dei vari testi il riutilizzo delle loro opere. Mettendo a disposizione dei lettori, online, una versione elettronica di quei stessi testi, Google si era impegnata a versare agli autori una parte dei profitti pur restando degli aventi titolo il diritto di rifiutare ulteriori diffusioni online dei propri lavori (approccio “opt out“).
La prima versione dell’accordo è stata però bocciata dal Dipartimento della Giustizia (DOJ) ed a novembre scorso le parti hanno ripresentato una nuova bozza dell’intesa, quella che oggi ha incassato un nuovo diniego.
Google, attraverso i suoi portavoce, aveva già chiarito il punto di vista: l’individuazione di ogni autore e la richiesta di una specifica autorizzazione alla digitalizzazione si concretizzerebbero in un’operazione dai costi proibitivi. Il legale della società di Mountain View ha stimato come, negli Stati Uniti, vi siano all’incirca cinque milioni di opere ormai non più ristampate ma ancora soggette alle leggi sul copyright. In molti casi gli autori di quei testi non sono rintracciabili rendendoli “pubblicazioni orfane”.
Thomas Rubin, uno dei legali di Microsoft esperti di tematiche legate alla proprietà intellettuale, aveva osservato come il patteggiamento ponga Google in una condizione vantaggiosa, soprattutto per ciò che riguarda il settore delle ricerche. La società fondata da Larry Page e Sergey Brin avrebbe il diritto di digitalizzare sino a 147 milioni di opere “fuori stampa” con la possibilità di inserirne i risultati nelle proprie SERP. Le altre aziende, invece – commentò Rubin – dovrebbero comunque procurarsi i diritti di riproduzione per ogni singolo testo.
Contro l’accordo Google-editori si schierarono Amazon, Microsoft, Yahoo, l'”Open Book Alliance” e l'”Electronic Privacy Information Center”. A favore, invece, Sony, la federazione nazionale pro ciechi ed il “Center for Democracy and Technology”.
Hilary Ware, uno dei mananger di Google, ha bollato la decisione del giudice Chin come “chiaramente deludente. (…) Come molti altri, riteniamo che l’accordo abbia il potenziale di aprire l’accesso a milioni di testi che sono realmente difficili da trovare, oggi, nelle librerie degli Stati Uniti. Indipendentemente da quanto appena emerso, continueremo a lavorare per rendere consultabili online un sempre maggior numero di libri attraverso Google Books e Google eBooks“.
L'”Open Book Alliance” ha definito la sentenza appena emessa come “una vittoria per il pubblico interesse e per la libera concorrenza nel campo letterario e nell’ecosistema della rete Internet. (…) Parteciperemo attivamente a quei processi collaborativi che permetteranno di realizzare una libreria digitale pubblica capace di rispettare i diritti degli autori e di promuovere innovazione e competizione“.