Facebook sta facendo di tutto per monetizzare i “movimenti” degli utenti sul social network. È l’assicurazione che è arrivata da Sheryl Sandberg (nella foto a lato), direttore operativo del social network, che – nel corso di una conferenza tenutasi a New York – ha voluto tranquillizzare gli investitori. La Sandberg ha dipinto il grande tesoro, formato dai 955 milioni di iscritti di tutto il mondo, che Facebook può vantare ed ha sottolineato l’importanza, per gli inserzionisti, di potersi rivolgere a gruppi di persone che condividono gli stessi interesse e le medesime preferenze. Ogni utente registrato su Facebook, ha spiegato la Sandberg, ha mediamente 130 amici: quando ci si rivolge a tale persona, si può estendere notevolmente la propria audience.
Il direttore operativo dell’azienda fondata da Mark Zuckerberg ha poi gettato acqua sul fuoco per ciò che riguarda le performance borsistiche davvero poco soddisfacenti (il titolo “naviga” intorno ai 22 dollari quando il prezzo per ogni singola azione, al momento della collocazione sul listino del NASDAQ, era stato fissato a 38 dollari). Per la Sandberg, la sua società è viva ed in salute e sta lanciando nuovi prodotti e nuove iniziative.
E se la pubblicità è senza dubbio il motore che ha contribuito alla crescita di Facebook, fattore che però ha convinto poco in borsa, anche dalle parole della Sandberg è emerso come l’azienda intenda continuare a battere su questo chiodo. Ed è proprio in questi giorni che si è diffusa la notizia di un accordo commerciale con Datalogix, azienda che si occupa della gestione e della raccolta dei dati provenienti da tutte quelle catene di rivenditori che offrono carte fedeltà ai propri clienti. Facebook e Datalogix, secondo quanto riferiscono fonti americane, si sarebbero quindi accordate per “incrociare” i dati memorizzati sui rispettivi server (il semplice indirizzo e-mail degli utenti è un ottimo punto di partenza) con l’intento di stabilire l’impatto delle campagne pubblicitarie sull’acquisto di vari prodotti. Dati che in origine non erano legati possono così essere messi in stretta correlazione diventando un ottimo strumento commerciale.
Una simile pratica ha mandato su tutte le furie i responsabili dell’Electronic Privacy Information Center che hanno subito chiesto alla FTC (Federal Trade Commission) statunitense di avvire un’inchiesta con lo scopo di verificare se il comportamento tenuto da Facebook non costituita una violazione dei precedenti accordi in materia di tutela della privacy (vedere l’articolo Privacy: Facebook raggiunge un accordo con la FTC).
Da Facebook si è subito voluto mettere, però, le mani avanti precisando che le informazioni personali ed i dati degli utenti iscritti al social network non vengono condivisi con Datalogix o con gli inserzionisti. “La fiducia degli iscritti è per noi molto importante“, si ripete. Purtuttavia, non sembra essere al momento fornito alcuno strumento che permetta agli utenti registrati su Facebook il diniego a partecipare agli studi come quelli effettuati in collaborazione con Datalogix. Chi volesse manifestare il suo “opt-out” dovrebbe recarsi sul sito di Datalogix.
Stando a quanto riferito, sia Facebook che Datalogix utilizzerebbero lo stesso metodo di hashing dei dati degli utenti. Le funzioni hash, a partire da un testo di lunghezza arbitraria, generano una stringa di lunghezza fissa. La trasformazione operata funziona in un solo senso: non è quindi possibile, dalla stringa generata, risalire al testo iniziale. È probabilmente proprio questa la tattica con cui il social network ritiene di potersi difendere da nuove contestazioni in materia di privacy: i dati che vengono confrontati, insomma, non sono “in chiaro”. Solo quando c’è una corrispondenza tra l’hash prodotto da Datalogix e quello generato da Facebook ne consegue che entrambi i database contengono informazioni sul medesimo individuo, ma non vi sarebbe modo per recuperare il suo nome e cognome.
Considerati i precedenti, ad ogni modo, Facebook sembra muoversi in un terreno davvero molto accidentato.