Ad agosto 2020, quando Elon Musk ha presentato il progetto Neuralink, alcuni osservatori non hanno mancato di manifestare la loro delusione. In molti si aspettavano di più mentre il numero uno di Tesla e SpaceX (oltre che ideatore di numerose realtà innovative e molto promettenti come Solarcity, Hyperloop e OpenAI) si è “limitato” a descrivere il funzionamento di un sistema in grado di riconoscere alcuni segnali cerebrali grazie al collegamento di piccoli elettrodi con lo strato corticale del cervello: Neuralink: come funziona l’interfaccia che connette macchina e cervello umano.
Con quell’annuncio, forse un po’ prematuro, Musk ha però voluto più che altro illustrare “la visione” che sta guidando lo sviluppo di Neuralink.
L’obiettivo del progetto è infatti quello di creare un’innovativa interfaccia di connessione tra macchina e cervello umano, in primis per offrire un valido aiuto ai soggetti affetti da gravi patologie e disabilità. Si pensi ai malati di Alzheimer, Parkinson e a coloro che stanno subendo le conseguenze di lesioni al midollo spinale: l’idea è quella di poter controllare le macchine usando soltanto “il pensiero”. Infiniti, ovviamente, i potenziali campi applicativi.
Nel corso di un evento online svoltosi ieri Musk ha raccontato che il sistema Neuralink è stato impiantato con successo in un primate che riesce a interagire con un videogioco (i.e. “pong”) usando gli impulsi cerebrali.
Musk ha svelato che la versione più avanzata di Neuralink è diventata completamente wireless: l’impianto cerebrale è adesso del tutto indipendente e può dialogare con i dispositivi esterni in modalità senza fili.
Uno dei dubbi degli esperti è legato soprattutto all’utilizzo delle terminazioni elettriche e degli elettrodi che potrebbero essere utilizzati da eventuali patogeni, seguendone il percorso, per causare infezioni a livello cerebrale. Secondo Musk via a via che lo sviluppo di Neuralink proseguirà si potranno usare un numero inferiore di connessioni riducendo significativamente i rischi.
L’obiettivo è quello di spingersi progressivamente sempre più in profondità nella materia grigia in modo da poter rilevare con più ampio ventaglio di segnali.