Adeguandosi alla recente decisione della Corte di Giustizia dell’Unione Europea in tema di diritto all’oblio, Google ha appena iniziato ad eliminare i primi link dalle versioni europee del suo motore di ricerca, in risposta alle richieste di rimozione ritenute valide e legittime.
I giudici lussemburghesi, con una sentenza che ha destato scalpore ed è tutt’oggi fonte di interminabili discussioni, hanno stabilito che i cittadini europei hanno diritto a chiedere ai gestori dei motori di ricerca l’eliminazione di riferimenti a pagine web che contengano contenuti lesivi della propria dignità e del proprio buon nome.
Nel testo della sentenza si legge: “(…) il gestore di un motore di ricerca è obbligato a sopprimere, dall’elenco di risultati che appare a seguito di una ricerca effettuata a partire dal nome di una persona, i link verso pagine web pubblicate da terzi e contenenti informazioni relative a questa persona, anche nel caso in cui tale nome o tali informazioni non vengano previamente o simultaneamente cancellati dalle pagine web di cui trattasi, e ciò eventualmente anche quando la loro pubblicazione su tali pagine web sia di per sé lecita“.
Paradossalmente, quindi, il cittadino può chiedere a Google – compilando un apposito modulo online – di rimuovere link presenti nelle pagine del motore di ricerca ad articoli che lo riguardino ma può non aver diritto a vederli rimossi dal sito web dell’editore se trattavasi di informazioni pubblicate, al momento della loro apparizione in rete, attendendosi ad esempio alla deontologia giornalistica.
In capo allo stesso modulo per la richiesta di rimozione dei contenuti (compilato ben 41.000 volte solo nei primi quattro giorni dalla sua comparsa online) Google scrive: “una recente decisione della Corte di giustizia dell’Unione europea ha stabilito che alcuni utenti possono chiedere ai motori di ricerca di rimuovere risultati relativi a query che includono il loro nome, qualora tali risultati siano inadeguati, irrilevanti o non più rilevanti, o eccessivi in relazione agli scopi per cui sono stati pubblicati. Durante l’implementazione di questa decisione, valuteremo ogni singola richiesta e cercheremo di bilanciare i diritti sulla privacy della persona con il diritto di tutti di conoscere e distribuire le informazioni. Durante la valutazione della richiesta stabiliremo se i risultati includono informazioni obsolete sull’utente e se le informazioni sono di interesse pubblico, ad esempio se riguardano frodi finanziarie, negligenza professionale, condanne penali o la condotta pubblica di funzionari statali“.
Google è insomma chiamata a rivestire i panni di arbitro ed a valutare quali richieste siano meritevoli di accettazione e quali invece debbano essere ignorate.
Un ruolo, questo, che l’azienda giudica evidentemente pericoloso, economicamente e giuridicamente poco sostenibile.
Auspicando un chiarimento da parte delle istituzioni europee, Google ha intanto cominciato ad eliminare i primi link “scomodi” dal suo motore ricerca. O meglio, come già ipotizzato nelle scorse settimane non si tratta di una vera e propria rimozione. I contenuti resi inindividuabili attraverso una comune ricerca sul motore di Google, sono semplicemente “nascosti” e non rimossi in maniera definitiva: Diritto all’oblio: Google non rimuoverà i link, li disattiverà.
Come accorgersene?
La sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea è figlia di una vertenza legale che vedeva contrapporsi un cittadino spagnolo – Mario Costeja González – e Google. González aveva presentato una denuncia chiedendo la rimozione di alcune pagine pubblicate su un quotidiano online nelle quali si faceva riferimento al pignoramento effettuato nei suoi confronti per la riscossione coattiva di crediti previdenziali.
Dal momento che la vertenza si era poi risolta, González ha ritenuto gli articoli (risalenti addirittura al 1998) lesivi della propria dignità e ne ha richiesto l’eliminazione. Poiché giornalista ed editore avevano pubblicato l’articolo attenendosi ai fatti e divulgando informazioni che, al momento della stesura del pezzo, corrispondevano al vero, la richiesta di González fu respinta. Google, invece, è stata ritenuta responsabile del trattamento dei dati, nonostante le informazioni fossero state pubblicate sui siti web di terzi e ad colosso di Mountain View è stato imposto di rimuovere i link facenti riferimento all’articolo della testata iberica (“LaVanguardia“).
Se oggi si prova ad effettuare una ricerca coi termini costeja gonzález
sul motore di ricerca italiano di Google (google.it
) o su qualunque altra versione europea, in calce alla pagina coi risultati apparirà il nuovo avviso “Alcuni risultati possono essere stati rimossi nell’ambito della normativa europea sulla protezione dei dati“.
Se invece, dalla home page di Google Italia, si clicca su link Utilizza Google.com (posto nell’angolo in basso a destra), e si ripete la medesima ricerca, nessun link relativo a Costeja González risulterà rimosso dalle SERP. Anzi, digitando costeja gonzález site:lavanguardia.com
si troverà la pagina che è stata la “pietra dello scandalo”.
Come previsto, quindi, Google si è limitata a disattivare i link oggetto di contestazione dalle versioni europee del motore di ricerca ma basta un semplice clic per cercare tutte le informazioni, senza censure, usando il motore a stelle e strisce.
Negli articoli seguenti, tutti gli approfondimenti sull’argomento:
– Google dovrà garantire il diritto all’oblio. Cosa significa
– Eliminare un link da Google: pubblicato il form per far leva sul diritto all’oblio
– Diritto all’oblio, Google ha già ricevuto 12mila richieste
– Diritto all’OBLIO, Google riceve 41.000 richieste in quattro giorni
– Diritto all’oblio: Google non rimuoverà i link, li disattiverà