Nel 2014 la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha di fatto approvato il cosiddetto diritto all’oblio in rete: i cittadini hanno il diritto di richiedere la rimozione del loro nominativo dai motori di ricerca, soprattutto se associato a informazioni obsolete, non veritiere, lesive della propria immagine e del proprio buon nome.
Cliccando qui si troverà il modulo che Google ha approntato proprio in seguito alla storica sentenza e che può essere utilizzato dai cittadini che volessero richiedere la rimozione di informazioni ritenute sconvenienti e riferite alla propria persona.
Google, tuttavia, non rimuove una pagina web dai risultati offerti dal suo motore di ricerca semplicemente perché un utente non ne tollera la presenza online. L’eliminazione, sulla base del giudizio di Google, avviene solo quando vi fossero fondate motivazioni.
Qui si potrebbe aprire un’importante parentesi: di fatto società private, qual è appunto Google, sono chiamate a usare il loro metro di giudizio per esaminare quindi approvare o rigettare le richieste provenienti dai cittadini. È corretto? Probabilmente no anche se al momento non sono state individuate soluzioni alternative.
È comunque facoltà degli interessati richiedere la rimozione dei contenuti ai singoli siti web che l’hanno pubblicati, anche mediante la comunicazione da parte di un legale: il motore di ricerca, una volta che i contenuti saranno stati rimossi, non li visualizzerà più tra i risultati delle SERP (vedere anche Pagine rimosse da Google, perché?).
Google, inoltre, ha deciso di assolvere all’obbligo di concessione del diritto all’oblio solamente per ciò che riguarda le versioni del motore di ricerca destinate ai cittadini residenti nei Paesi europei. In altre parole, nel caso in cui un’istanza di rimozione venisse accettata, i riferimenti al cittadino non appariranno più nelle SERP della versione italiana di Google, così come in quella utilizzata nelle altre nazioni europee, ma continueranno ad esempio a comparire negli Stati Uniti così come negli Paesi extra-europei.
È facile accorgersene perché basta modificare il motore di ricerca da usare dalla home page di Google.
Un importante precedente: il Garante Privacy italiano ordina a Google di eliminare alcuni link da tutte le versioni del motore di ricerca
In questi giorni il Garante Privacy ha ordinato a Google di deindicizzare gli URL riguardanti un cittadino italiano da tutti i risultati della ricerca, sia nelle versioni europee del motore, sia in quelle extraeuropee.
L’interessato (un italiano residente negli Stati Uniti) ha chiesto la deindicizzazione di numerosi url europei ed extraeuropei che rimandavano a messaggi o brevi articoli anonimi pubblicati su forum o siti amatoriali giudicati gravemente offensivi della propria reputazione. “Negli scritti erano riportate anche informazioni ritenute false sul suo stato di salute e su gravi reati connessi alla sua attività di professore universitario“, si osserva dall’ufficio del Garante. “Il ricorrente auspicava una deindicizzazione del suo nominativo da tutti i siti, anche extraeuropei, in cui era presente, lamentando peraltro la circostanza che, non appena un url veniva rimosso, subito ne venivano generati altri con contenuti di analogo tenore“.
Per la prima volta è un’autorità amministrativa nazionale a intimare a Google di accordare il diritto all’oblio per un cittadino in tutte le versioni del motore di ricerca.
Nel decidere a favore della deindicizzazione il Garante ha ritenuto che la “perdurante reperibilità” sul web di contenuti non corretti e inesatti avesse un impatto “sproporzionatamente negativo” sulla sfera privata del ricorrente. Un effetto dovuto anche alla diffusione di dati sulla salute non in linea con quanto disposto dal Codice privacy e dalle Linee guida dei Garanti europei sull’attuazione della sentenza Google Spain ovvero il “caso Costeja” che ha di fatto portato all’introduzione del concetto di diritto all’oblio.
Cliccando qui è possibile consultare il testo del provvedimento del Garante.