Quando si parla di sblocco dei dispositivi mobili, c’è spesso grande confusione. Termini come jailbreaking e rooting vengono spesso confusi, senza riflettere sul fatto che non si tratta di sinonimi e che vi sono delle importanti differenze.
Traducibile in italiano col termine “evasione“, il jailbreaking fa riferimento a quelle procedure che consentono di installare, sui dispositivi a marchio Apple, applicazioni e pacchetti alternativi rispetto a quelli presenti nel negozio online Apple App Store.
Così come esce di fabbrica e com’è acquistato, un iPhone – ad esempio – non permette di eseguire applicazioni diverse da quelle scaricate dallo store di Apple ed approvate dai tecnici della società. Gli utenti, inoltre, debbono accettare integralmente la struttura dell’interfaccia scelta da Apple, non possono esaminare il file system dello smartphone e, appunto, possono scaricare ed installare le app esclusivamente dall’App Store ufficiale.
Gran parte degli utenti di iPhone sottoposti a jailbreak si rivolgono a Cydia, un negozio online non ufficiale che contiene applicazioni di ogni genere che non sono quindi approvate da Apple.
Di per sé la pratica del jailbreaking non costituisce illecito. Mentre, da un lato, infatti, Apple ha sempre combattuto strenuamente la pratica del jailbreaking invitando gli utenti a non adottarla ed informandoli sulle possibili problematiche di sicurezza che potrebbero insorgere (l’installazione di applicazioni non supportate potrebbe portare, sullo smartphone, malware o condurre all’esecuzione di codice dannoso), lo “sblocco” dei melafonini è stato giudicato “legale” da parte del Copyright Office statunitense in forza di un’eccezione contenuta nel Digital Millennium Copyright Act.
Anche in Italia il jailbreaking è considerato legale (il codice civile prevede i diritti reali del consumatore sui prodotti che egli acquista).
Non è invece legale, ovviamente, il download e l’installazione di materiale “piratato” che si potrebbe reperire in Rete od in qualche store “dalla dubbia moralità”.
Per effettuare il jailbreak dell’iPhone e degli altri dispositivi mobili di Apple vi sono in circolazione diversi strumenti software gratuiti. Il più noto, compatibile con iOS 7.0.x, è Evasi0n7 che consente il jailbreak untethered dei dispositivi Apple aggiornati all’ultima versione del sistema operativo iOS.
Cosa significa jailbreak untethered?
In generale il jailbreak è una procedura che permette di scavalcare la procedura di verifica del codice da eseguire che viene posta automaticamente in essere ad ogni accensione o riavvio del dispositivo Apple (iBoot).
Il meccanismo iBoot di norma provvede infatti a negare l’esecuzione di codice “sospetto” che non sia stato espressamente autorizzato da Apple.
Il jailbreak untethered è una procedura che permette di affrancarsi da Apple ed installare qualunque genere di applicazione sul dispositivo senza nemmeno fare affidamento su di un personal computer. Nel caso dei jailbreak tethered, infatti, viene utilizzato un computer (Windows, Mac OS X, Linux) a cui viene connesso via cavo USB il device Apple, per inserire – durante la fase di boot – il codice aggiuntivo.
Il problema è che, nel caso del jailbreak tethered, il device Apple non andrà mai spento pena la necessità di doverlo ricollegare via USB al computer e ripetere la procedura.
Con i jailbreak untethered non è necessario nulla di tutto ciò: il codice in grado di aprire il dispositivo alle esigenze dell’utente viene inserito, nella sua totalità, all’interno del device mobile.
L’iPhone o qualunque altro dispositivo Apple sottoposto a jailbreak untethered potrà essere spento, riavviato e riacceso senza alcun problema.
L’unica attenzione consiste nell’evitare di installare successive versioni di iOS: applicando un successivo aggiornamento del sistema operativo, il jailbreak sarà infatti automaticamente rimosso (bisognerà prima accertarsi che sia disponibile un nuovo meccanismo per effettuare il jailbreaking sulla release più aggiornata di Apple iOS).
L’eventuale rimozione del jailbreak è una procedura piuttosto semplice da condurre a termine sulla piattaforma Apple iOS.
Per rimuovere le tracce del jailbreaking basta collegare il dispositivo Apple al computer mediante il cavo USB in dotazione, avviare il software iTunes, quindi fare clic sulla voce Ripristina in corrispondenza al nome del device. Così facendo, comunque, verranno rimosse tutte le applicazioni installate ed il dispositivo sarà riportato alle impostazioni di fabbrica.
Come accennato in precedenza, il jailbreak si rimuove anche aggiornando iOS ad una versione più recente.
Rooting di un dispositivo Android. Differenza con il jailbreaking.
Nel caso dei dispositivi Android non si parla di jailbreak. La filosofia di Android è infatti profondamente diversa rispetto a quella di Apple iOS: il sistema operativo voluto da Google è infatti improntato su di un’architettura aperta, sulla struttura opensource e sul fatto di poggiare sul kernel Linux.
Il fatto di essere un prodotto opensource ed il tipo di licenza utilizzato, permette di modificare e redistribuire liberamente il codice sorgente di Android (vedere anche l’articolo Opensource, software libero e proprietario: una visione d’insieme).
Sulla piattaforma Android non è necessario il jailbreaking: il sistema operativo già permette di installare applicazioni da qualunque sorgente, sia dagli store ufficiali che da fonti non approvate (a rischio e pericolo dell’utente).
Su Android è poi possibile installare manualmente un’applicazione partendo da un file in formato APK.
Sul sistema operativo del robottino verde, uno dei termini più gettonati è invece rooting (che non è assolutamente sovrapponibile con jailbreaking!).
Con il termine rooting si fa riferimento all’acquisizione di quei privilegi amministrativi che non sono mai messi a disposizione dell’utente che acquista il telefono.
Utilizzando l’utente root su Android è possibile effettuare qualunque genere di operazione, compresa la modifica di tutte le impostazione di base del sistema operativo e degli altri software installati.
La procedura di rooting è appunto quella che permette di abilitare l’utilizzo dell’account root ed essa varia da dispositivo a dispositivo, anche se solitamente i passaggi da seguire sono molto simili.
Dal momento che Google non accetta, su Play, alcuna applicazione in grado di effettuare il rooting del dispositivo Android, è indispensabile provvedere autonomamente.
Per ciascun modello di smartphone o tablet Android esistono in circolazione diverse guide pratiche che consentono di raggiungere l’obiettivo prefisso.
Solitamente, per effettuare il rooting di un device Android, basta scaricare un file compresso .zip (di solito si chiama root.zip
od update.zip
) e memorizzarlo nella scheda SD o nella memoria interna.
A questo punto, tipicamente, si dovrà spegnere il dispositivo e riavviarlo mantenendo premuti contemporaneamente più tasti alla volta (generalmente “entrano in gioco” il tasto volume, Home e accensione…).
Il software dovrebbe permettere la scelta del file .zip precedentemente caricato in modo da dare via al processo di rooting.
Una volta completato il rooting del device Android, è bene verificare di essere effettivamente riusciti nell’intento. Un’applicazione utile in tal senso è Root Checker Basic (prelevabile da qui).
La procedura di rooting porta con sé alcuni vantaggi:
– possibilità di disinstallare applicazioni preinstallate in Android alla prima accensione dello smartphone o del tablet
– possibilità di valutare l’installazione di versioni più recenti di Android caricandole sullo smartphone in sostituzione di quella preinstallata (non è necessario attendere il rilascio di una release aggiornata da parte del produttore)
– possibilità di personalizzare in profondità l’interfaccia grafica del device Android
– possibilità di trasformare il device Android in un hot spot Wi-Fi nel caso in cui vi siano limitazioni imposte dall’operatore telefonico per questo tipo di operazione (Collegarsi ad Internet con Android usando uno smartphone come modem)
– possibilità di creare backup completi di tutto il contenuto del dispositivo (utilizzando app apposite, come Titanium Backup, che richiedono come requisito il rooting dello smartphone o del tablet)
– acquisizione dei privilegi di amministratore che permettono di compiere modifiche approfondite sul file system, interagire a basso livello coi componenti hardware e compiere qualunque genere di modifica software.
Rooting Android e garanzia
Generalmente il processo di rooting implica la perdita della garanzia sul telefono o sul tablet Android. Annullando la procedura (unrooting), però, si riacquista la garanzia.
I passi per effettuare eventualmente l’unrooting differiscono da device a device e possono essere più o meno complessi da essere posti in atto.
Tim Berners-Lee, padre del World Wide Web, ha dichiarato che offrire la possibilità di attivare l’accesso root su un qualunque dispositivo mobile dovrebbe essere riconosciuto come diritto sacrosanto appannaggio degli utenti (Berners-Lee parla di device mobili: account root e HTML5).
Come il jailbreaking, anche il rooting è considerato legale (sebbene, appunto, l’unico rischio possa essere quello di invalidare – almeno temporaneamente – la garanzia).
Sblocco del telefono
Il termine sblocco è ancora diverso da jailbreaking e rooting. In questo caso, infatti, ci si riferisce all’elusione di quelle limitazioni, imposte da alcuni operatori telefonici anche in Italia, che permettono di usare il telefono esclusivamente con le SIM card commercializzate dalla medesima società.
Se, da un punto di vista prettamente tecnico, spesso non vi sono grossi problemi a scavalcare il cosiddetto “SIM locking” imposto dall’operatore telefonico, diversamente dalle procedure di jailbreaking e rooting, l’operazione può non essere considerata completamente legale.
Molto dipende dalla tipologia di contratto che si è firmato (come privato oppure come professionista/azienda). Se, il linea di principio, la clausola che obbliga all’utilizzo della SIM dell’operatore telefonico viene da alcuni legali considerata vessatoria, questa può avere pieno valore se sottoscritta espressamente da un utente professionale od aziendale.
Anche in questi ultimi casi, comunque, la clausola che vieta il “SIM unlocking” potrebbe rivelarsi inefficace qualora il contratto sia accettato semplicemente “aprendo la confezione” che contiene il dispositivo elettronico.
Con un provvedimento del 2006, l’AGCOM ha stabilito che “considerato che periodi troppo brevi possono non consentire il completo recupero del valore del sussidio fornito, l’Autorità ritiene opportuno fissare in 18 mesi, la misura ragionevole della durata massima del blocco del terminale”.
In altre parole, l’operatore telefonico è tenuto a fornire gratuitamente le indicazioni per lo sblocco dopo un periodo di 18 mesi dall’acquisto. Le informazioni per procedere con lo sblocco a pagamento possono essere invece fornite dopo 9 mesi.
Prima di acquistare un terminale che preveda il “SIM locking” è comunque caldamente consigliato verificare attentamente i termini contrattuali e quali sono i propri diritti/doveri.