Torna in auge la proposta di legge Carlucci, già presentata nel mese di marzo scorso. In quell’occasione si motivò la stesura delle disposizioni sulla base della necessità di stabilire regole ed azioni per combattere efficacemente la pedopornografia online.
Nelle scorse ore l’On. Gabriella Carlucci, vicepresidente Pdl della Commissione Bicamerale per l’Infanzia ha dichiarato: “Internet e i social network stanno diventando, ogni giorno di più, canali e strumenti di diffusione di odio e veleno. I gruppi nati su Facebook per inneggiare alla vile aggressione, subita (…) a Milano dal Presidente Berlusconi, provano, ancora una volta, che è giunto il momento di eliminare definitivamente l’anonimato in rete“, richiedendo l’intervento dei ministri dell’interno e della giustizia in appoggio alla proposta di legge già presentata a suo tempo.
Le affermazioni, com’era prevedibile, hanno sollevato in Rete un nuovo vespaio di polemiche. Uno dei punti più controversi del disegno di legge è quello che recita “è fatto divieto di effettuare o agevolare l’immissione nella Rete di contenuti in qualsiasi forma (testuale, sonora, audiovisiva e informatica, ivi comprese le banche dati) in maniera anonima“. Si tratta di un provvedimento che viene generalmente considerato inapplicabile. L’avvocato Guido Scorza, uno dei più autorevoli esperti di diritto informatico e di tematiche connesse alla libertà di espressione ed alle politiche di innovazione, aveva a suo tempo spiegato nella sua relazione sul tema (ripresa da buona parte della blogosfera italiana), come l’idea si configurasse “illegittima, inattuabile e non auspicabile”, oltre che in palese contrasto con la disciplina della privacy. Scorza, all’epoca, sottolineò tra l’altro come non sia sufficiente indicare un nome o un cognome a firma di un post o di un commento per ottemperare alla disposizione, né che sia ipotizzabile l’imposizione al cittadino di una procedura di autenticazione ogni volta che accede a una piattaforma telematica.
Il disegno di legge, poi, non chiarisce bene il significato del termine “anominato”. In molti precisano come – diversamente da quello che qualcuno crede – la Rete sia molto meno “anonima” di quello che si pensa: gli strumenti per individuare e perseguire coloro che commettono reati per via telematica già ci sono e sono a disposizione sia dei giudici che degli organi di polizia.
Non si placa insomma, la bufera su Facebook, sui social network e sull’utilizzo della Rete in generale. Ciò che auspichiamo è che le decisioni vengano ben soppesate chiamando attorno ai tavoli di discussione gli esperti che la Rete “la fanno” e la vivono quotidianamente. Solo questi ultimi possono fornire indicazioni precise sull’attuabilità, sulla fattibilità e sulla sensatezza delle singole proposte.